La recensione

Uomo e natura a confronto con Paco Dècina al Napoli Teatro Festival Italia

Al via l'edizione 2015 del Napoli Teatro Festival Italia con La douceur perméable de la rosée di Paco Dècina, creazione partorita in seguito a un'esperienza di residenza nelle isole Crozet, a largo del continente sub-antartico. Il coreografo racconta al pubblico momenti di vita all'interno di una base scientifica; porta in scena un lavoro sensibile indagando sulla possibilità di reinstaurare il profondo dialogo tra l'uomo e la dolcezza della natura a fronte del senso di violenza dilagante nella società moderna.

Lo scorso 3 giugno al vernissage di inaugurazione del Napoli Teatro Festival Italia 2015, che quest’anno dispone di location eleganti e d’eccezione quali gli ambienti di Castel Sant’Elmo, ospite la Compagnie Post-Retroguardia con La douceur perméable de la rosée, ultima creazione del coreografo Paco Dècina.

Nato a Napoli e stabilitosi in Francia nel 1984, dopo il successo ottenuto nella sesta edizione del festival, Dècina ritorna nella città natale raccontando di una personale esperienza di vita e residenza artistica avvenuta nei mesi a cavallo tra il 2013 e il 2014 alle isole Crozet (un arcipelago sub-antartico di piccole isole nell’Oceano Indiano, parte dei Territori Francesi Meridionali) e decide di farlo avvalendosi di un sottile e ricercato linguaggio danzato.

Lo spettacolo, dal carattere astratto e narrativo al tempo stesso, nasce dall’esigenza di ritrovare una qualunque via di ascolto e comunione con la natura, esplorandone la dolcezza, fugando la violenza del mondo moderno. Concetto, quello di violenza, inteso non solo come l’insieme dei mali che affliggono il mondo, ma anche come bombardamento incessante di informazioni che opprimono la naturale condizione dell’uomo, un inquinamento mediatico ed acustico tipico delle società di oggi.

Nella splendida cornice di Piazza D’Armi a Castel Sant’Elmo, l’enorme palco allestito per il NTFI diventa una scatola buia, scarna e fredda in cui le quinte laterali sono omesse e la scenografia ricrea gli ampi ambienti di una base di ricerca, caratterizzata sul fondo da una parete di rigide lamiere come quelle dei container.

Grazie al materiale visivo raccolto durante la permanenza in terre incontaminate, riproposto in videoproiezioni interattive, ed agli arrangiamenti musicali di Fred Malle, il quale rielabora in un’unica trama sonora i suoni dell’oceano, i versi dei leoni marini, il rumore dei passi e degli elicotteri militari, Dècina porta in scena un paesaggio antartico “interiore” fatto di flash-back e di sensazioni, una sorta di documentario coreografato della durata di un’ora e dieci minuti.

E’ qui che si inserisce la danza ampia ed infinita che contraddistingue lo stile del coreografo napoletano di adozione francese, una danza che lascia senza parole, rallenta il tempo e permette al pubblico di immergersi emotivamente nella pièce.

L’autore struttura assemblaggi di corpi perfetti, plasma magistralmente i suoi danzatori rendendoli muti interpreti di ricordi ed aneddoti legati a quei luoghi silenziosi (l’incandescenza del tramonto, un combattimento fra leoni marini, la cattura di un animale, l’impassibilità dei ricercatori).

Vincent Delétang, Jérémy Kouyoumdjian e Sylvère Lamotte sono i tre magnifici membri della compagnia che utilizzano il movimento per disegnare nel vuoto le immagini di un’umanità debole in confronto alla grandezza della natura, alla sua brutale femminilità che generosa non manca di donare immensi spazi e bellezze. Il corpo è lo strumento centrale dell’azione, certamente il solo capace di adattarsi ad ogni circostanza dotato com’è di enorme potenziale ed inesauribili risorse energetiche e l’interazione che si instaura tra i tre giovani e lo spazio circostante è magnetica.

Questi danzatori, spostandosi lungo il pavimento in modo plastico, sviluppano una forte sintonia  che riconduce alle vibrazioni del respiro al suo flusso dinamico e continuo.

A completare l’azione dei performer, quattro semplici oggetti anch’essi interpreti passivi della narrazione: dei cavalletti in legno che i giovani danzatori utilizzano per costruire architetture ad incastro in precario equilibrio, geometrie che gravano sulle loro spalle, gabbie come quelle per animali in cui è possibile percepire un senso di violenza, costrizione e tensione.

Il lavoro della compagnia si inserisce in quel filone di rappresentazioni fortemente realistiche e dal crudo impatto teatrale, catturando la completa attenzione dello spettatore per l’alto livello tecnico, culturale ed educativo che possiedono.

In conclusione merita di essere menzionato  il toccante finale in cui, sulle note di Fenesta ca lucive di Cottrau, un danzatore è intento ad imbandire una tavola improvvisata con una lastra e due cavalletti: una scena che esprime a pieno la nostalgia di casa che si prova stando in una terra disabitata. Se La douceur perméable de la rosée risponde in parte a delle incognite sul senso della vita e dell’uomo, di certo ne fa sorgere altre sul senso della lontananza e della mancanza.

Andrea Arionte

7/06/2015

Foto: 1.-6. La douceur permeable de la rosée di Paco Décina, ph. L. Schneegans; 7.- 11. La douceur permeable de la rosée di Paco Décina, ph Salvatore Pastore.

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