La recensione

Una nuova Carmen, firmata da Jiří Bubeníček, per il Balletto del Teatro dell’Opera di Roma.

È andato in scena in prima mondiale al Teatro Costanzi di Roma il balletto Carmen, nuova creazione con nuovo allestimento dell’Opera di Roma. La coreografia è firmata da Jiří Bubeníček, già principal dancer dell’Hamburg Ballett e coreografo richiesto nel mondo. L’autore si ispira, in questa versione, alla novella originale di Mérimée e oltre alle musiche dell’opera di Bizet utilizza le note di Manuel de Falla, Isaac Albéniz e Mario Castelnuovo-Tedesco. Un’opera minuziosamente costruita, che approfondisce la trama e i numerosi personaggi di Mérimée. Bene il corpo di ballo, pienamente in grado di valorizzare i risvolti di un racconto ricco e complesso. Molto bravi i protagonisti Susanna Salvi, prima ballerina del Teatro, e Amar Ramasar, già principal del New York City Ballet. Ottimi Gaetan Vermeulen (Garcia), Alessio Rezza (Dancairo e Lucas), Simone Agrò (Remendado), Michele Satriano, Annalisa Cianci e Giacomo Castellana.

Dopo il felice inizio di stagione con Il lago dei cigni, la direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma Eleonora Abbagnato ha deciso di puntare, ancora una volta, sulla riscrittura coreografica di una storia senza tempo: Carmen, frutto del genio letterario di Prosper Mérimée e fonte ispiratrice della celebre opera di Georges Bizet.

La sfida creativa è stata raccolta da Jiří Bubeníček, artista ceco, già principal dancer dell’Hamburg Ballett e interprete prediletto di John Neumeier, poi principal del Semperoper Ballett Dresden e oggi coreografo di talento richiesto dalle più importanti compagnie del mondo, nonché fondatore con il fratello Otto della compagnia Les Ballets Bubeníček.

La particolarità di questa nuova versione di Carmen (andata in scena in prima mondiale al Teatro Costanzi di Roma, dal 2 al 10 febbraio 2019, per un totale di dieci recite) sta innanzitutto nella precisa scelta del coreografo di non rifarsi al libretto dell’opera di Bizet del 1875 (talmente conosciuto da aver definito nel tempo i tratti della sigaraia di Siviglia), ma direttamente all’originale novella di Mérimée del 1845. La creazione di Bubeníček sfugge ai contorni narrativi nei quali la storia e l’abitudine hanno incastrato Carmen, per articolarne la parabola discendente in numerosi e dettagliati quadri coreografici: una composizione in due atti (e 12 scene) per la quale il il coreografo si avvale delle stesse note di Georges Bizet insieme a quelle di Manuel de Falla, Isaac Albéniz e Mario Castelnuovo-Tedesco, con elaborazioni e orchestrazioni del maestro Gabriele Bonolis.

Il sipario svela all’apertura del primo atto l’imponente scenografia di Gianni Carluccio, affascinante architettura dalle linee geometriche e su più livelli di altezza; nel mezzo, un lungo muro di alicatados bianchi e blu che taglia il palcoscenico e traccia simbolicamente i destini dei protagonisti, divisi tra la regola e la prigionia, la libertà e la caduta. La storia è già lì, tragicamente compiuta: nel buio freddo della colpa e a pochi attimi dalla condanna, Don José, ex soldato di Siviglia, ripercorre gli atti infelici di un recente passato; ad ascoltarlo c’è lo stesso Prosper Mérimée, autore dell’immortale novella.

Le scene che seguono sono quelle più conosciute del racconto, ispiratrici di alcune delle parti musicali più celebri dell’opera di Bizet (basti pensare a L’amour est un oiseau rebelle): per le strade di Siviglia, davanti alla manifattura di sigari, tra donne lavoratrici e gitane, c’è Carmen, seducente e scaltra, padrona in un attimo del cuore del soldato Don José.

Jiří Bubeníček segue diligentemente la trama, introducendo con ordine i protagonisti in un clima di sordo fermento, ancora lontano dalla tragedia ma già orientato a risvolti inattesi.

Centrale per lo sviluppo della storia, la scena nella manifattura di sigari è anche coreograficamente tra le più riuscite: Bubeníček ricrea qui l’ambiente disordinato e inquieto della fabbrica, tra gli ampi tavoli del lavoro e del sudore quotidiano. Lasciando emergere l’erotismo sottile nascosto nei gesti delle lavoratrici di sigari, il coreografo insiste sul frenetico ritmo della manifattura e su un’incandescente microcomunità di donne, in cui finiscono per scontrarsi storie e personalità, gelosie e rivendicazioni. Ne nasce un originale disegno che accentua la sinuosità del gesto femminile in accordo con le curve e gli accenti musicali.

La coreografia procede nel primo atto con una dettagliata descrizione degli eventi, tra incontri, fughe e nuove unioni: dopo la rissa nella manifattura, Carmen viene arrestata; convince Don José a liberarla ed è lui stesso a finire in prigione. L’uomo la desidera perdutamente, ma dopo una notte d’amore lei fugge via. Al nuovo incontro, cieco di gelosia, Don José uccide l’amante di Carmen: poi ancora una fuga, insieme, incontro ad una vita da fuorilegge.

Lo stile di Bubeníček, denso e variegato, rivela tratti neoclassici e si concede curve inattese (in particolare nelle sequenze di gruppo e nei pas de deux): una piacevole alternanza di linee e rotondità, aereo e terreno, che idealmente disegna l’evoluzione dei personaggi e degli eventi. Riesce bene il coreografo nel definire i profili psicologici dei protagonisti: Carmen, interpretata dalla prima ballerina Susanna Salvi (in alternanza, nelle varie recite, con l’étoile Rebecca Bianchi) è donna dai colori accesi, eroina di libertà, decisa a vivere secondo il codice del desiderio e dell’incostanza. Una donna che ama con bruciante trasporto, al di là delle convenzioni e ai confini dell’illecito. Il suo movimento è netto, marcato da una sensualità spavalda: corre testarda illuminata dal sole sivigliano, sorride gli uomini e provoca l’invidia delle donne, si abbandona alle lusinghe dell’amore e poi fugge via, fedele soltanto al mondo che ha scelto.

Don José, interpretato da Amar Ramasar (già principal dancer del New York City Ballet), è malato di un’altra inquietudine, quella dell’uomo annientato dal desiderio, incerto tra l’ordinarietà e la sregolatezza. Ossessionato dalla bellezza e dalla personalità non convenzionale di Carmen, l’uomo è nello stesso tempo frustrato nella volontà di cambiarla e di possederla. Il suo corpo, curvato dalle perplessità della vita, è percorso dal tormento dell’amore e dai demoni della gelosia. Un personaggio inquadrato nell’evoluzione da uomo della legge a bandito, ad assassino, segnato nel corpo dalle tappe di un decadimento progressivo e inesorabile.

Nel corso del secondo atto l’azione si sposta al porto di Gibilterra: Don José ritrova Carmen abbigliata d’oro e tessuti preziosi nella casa di un ricco generale inglese. Coinvolto nei piani di un furto, si ritrova al centro di un violento scontro e nuovamente accecato dall’ira, uccide il bandito Garcia, rivale d’amore e marito di Carmen.

Se da un lato troviamo apprezzabile, nella costruzione di Bubeníček, l’approfondimento dell’intreccio e l’introduzione dei numerosi personaggi (coerentemente con il racconto di Mérimée), dall’altro la frammentazione della trama rischia talvolta di far disperdere il nucleo drammaturgico e di esporre la coreografia a cali di tensione proprio a ridosso del culmine drammatico del racconto. Il coreografo aggira l’ostacolo con alcune soluzioni registiche e scenografiche che si rivelano efficaci nel ridestare l’attenzione del pubblico: la più apprezzata dalla platea del Costanzi è certamente il cavallo (ispirato al teatro delle marionette di Praga), talmente ben costruito e manovrato da strappare agli spettatori sonore esclamazioni di sorpresa. Più volte in scena, nel secondo atto, è il simbolo chiaro dello spirito libero della protagonista, immagine dell’indomabile fierezza che l’accompagna fino all’ultimo.

Singolare la scena nella casa del generale inglese: l’oro e lo sfarzo della scenografia crea un’improvvisa interruzione che catapulta i personaggi in nuove ambientazioni (per un attimo, la storia sembra sovrapporsi a quella di Manon, protagonista infelice di Prévost). Il cambiamento repentino spezza brevemente la linearità della narrazione; subito dopo, Carmen torna nei propri abiti, pronta ad affrontare un destino già scritto.

Le ultime scene, drammatiche, corrono verso l’epilogo. Carmen ha un nuovo amore, il torero Lucas (che nella novella di Mérimée ha un ruolo meno determinante rispetto all’Escamillo dell’opera di Bizet), ma parte di nuovo con Don José. Dopo un ultimo viaggio insieme, si ritrovano da soli in una chiesa. Lui vuole convincerla a restare insieme; Carmen rifiuta. Don José la colpisce due volte e il corpo della donna cade, senza vita, nel feroce silenzio dell’incomprensione. L’immobilità con cui Bubeníček inquadra l’attimo immediatamente successivo all’uccisione di Carmen, ne potenzia l’agghiacciante drammaticità. Subito dopo: la consapevolezza, la colpa, la condanna. Don José alza le braccia, due soldati lo sollevano mentre il mondo, tutto intorno, silenziosamente si spegne.

Un’opera densa, minuziosamente costruita, che dimostra l’impegno del Teatro dell’Opera di Roma nei confronti della danza e ne conferma l’investimento su nuove produzioni mettendo in campo una squadra creativa eccellente (aggiungiamo ai professionisti già citati, Anna Biagiotti per i raffinati costumi). Un’iniziativa, portata avanti con costanza dalla direzione, che ha una doppia ricaduta positiva: richiama l’attenzione di un pubblico numeroso, sempre più competente ed esigente nei confronti del teatro romano, e consente al corpo di ballo di misurarsi con nuovi coreografi e differenti stili, crescendo in qualità tecnica e interpretativa.

La compagnia ne esce vincente, pienamente in grado di valorizzare i risvolti di un racconto ricco e complesso.

Susanna Salvi è perfetta Carmen: le linee decise del volto, i folti capelli scuri, il sorriso disarmante dipingono i tratti di una protagonista fiera, appassionata, imprevedibile, a cui la ballerina aggiunge le sfumature di un’innata, caratteristica, leggiadria. La apprezziamo in particolare per la capacità di mantenere costante l’atteggiamento audace e infuocato di Carmen, decisa a non indietreggiare di fronte al già segnato destino. Interpreta con disinvoltura lo stile di Bubeníček, abbandonandosi ad un movimento alternatamente fluido ed energico, morbido e scattante. È molto brava, Salvi, nel primo duetto d’amore con Don José; scalpitante e sinuosa nelle sue vesti sgualcite dalla notte, si illumina in volto dichiarando l’essenza del suo personaggio: chiara, inafferabile, per sempre libera Carmen.

Amar Ramasar interpreta con sensibilità il complesso ruolo di Don José, sin dall’inizio lacerato nell’animo tra il desiderio, la paura e il possesso. Un personaggio che il ballerino porta in scena con chiarezza, senza nasconderne le oscurità e le contraddizioni. Buona l’intesa tra i due protagonisti: il corpo atletico di Ramasar avvolge l’armoniosa Salvi, in un contrasto che si ribalta sul piano della personalità con la brillante Carmen che accende la passione di Don José.

Diversi gli interpreti da segnalare: tra le danzatrici, ottima prova per Annalisa Cianci che si fa notare da subito, nel primo atto, tra le coppie di Siviglia e nel gruppo delle sigaraie; carismatica, Cianci perfettamente incarna l’ideale di una donna libera e determinata, accompagnando al gesto deciso una naturale eleganza di movimento. Brava Eugenia Brezzi, che ci colpisce sempre per il caratteristico movimento fluido e puntuale e per il brillante piglio interpretativo. Con loro, Beatrice Foddi, Marta Marigliani, Virginia Giovanetti.

Tra gli uomini, occhi puntati su Gaetan Vermeulen, travolgente Garcia, dotato di un naturale carisma, qui esaltato dalla coreografia di Bubeníček. Molto bravo Simone Agrò (Remendado), giovanissimo ballerino dalle esaltanti doti tecniche e interpretative, che brillano ad ogni singolo passaggio. Sempre eccellente il primo ballerino Alessio Rezza, qui interprete di un doppio ruolo (Dancairo e Lucas), insieme a Michele Satriano, solista più volte apprezzato in numerose esibizioni, qui preciso ed espressivo; bravo Loïck Pieraux nei panni del Tenente e Giuseppe Depalo in quelli del ricco generale inglese; e infine Giacomo Castellana, segnalato di frequente nel corso delle ultime stagioni per l’evidente solidità tecnica e per una caratteristica versatilità che gli consente di affrontare differenti stili con personale ed efficace impronta interpretativa. In sostituzione di Claudio Cocino, lo stesso Giacomo Castellana ha debuttato in alcune recite di febbraio nel ruolo di Don José: un personaggio che certamente si addice ai tratti e all’abilità interpretativa di Castellana, per il quale non esitiamo ad immaginare future nuove esibizioni da protagonista.

Lula Abicca

28/02/2019

L’articolo si riferisce alla recita di venerdì 8 febbraio 2019.

Foto: Susanna Salvi e Amar Ramasar Carmen di Jiří Bubeníček, Opera Roma, ph. Yasuko Kageyama.

 

 

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