La recensione

Twyla Tharp inaugura con successo l’edizione 2016 del Florence Dance Festival

Accolta con calorosi applausi al Teatro Verdi di Firenze la Twyla Tharp Dance, primo appuntamento della 27° edizione del Florence Dance Festival. In scena tre coreografie: Country Dances che ci riporta alla Beat Generation, Brahms Paganini con l’incredibile assolo di Reed Tankersley e, in anteprima mondiale, Beethoven Opus 130, una coreografia virtuosistica e vorticosa, una summa delle esperienze collezionate in più di 50 anni di carriera da Twyla Tharp. Lo spettacolo è in scena il 24 giugno 2016 al Ravenna Festival.

La serata che lo scorso 21 giugno ha inaugurato a Firenze la 27esima edizione del Florence Dance Festival ci ha fatto fare un salto indietro nel tempo. E questo è uno degli obiettivi di questa edizione del Festival fiorentino. Basti pensare al titolo, Portraits of Dance, che è stato scelto per unire tutti gli spettacoli in programma per questa edizione 2016 e in scena fino al prossimo 27 luglio 2016. I ritratti della danza, che la Direzione artistica di Keith Ferrone e Marga Nativo ha voluto come tema principale dell’edizione 2016 del Festival, collegano grandi personalità e personaggi del passato, attraverso la voce di diverse compagnie italiane e internazionali.

Non è stato un caso la scelta di aprire con uno spettacolo firmato Twyla Tharp, una delle più grandi coreografe dei nostri tempi, un’autrice che ha saputo creare una nuova danza fondendo più stili, spaziando dal balletto al musical, usando musica classica e pop. L’intento di averla fortemente voluta a Firenze per aprire un Festival è stato un messaggio forte e chiaro: quello di saper “tornare indietro” per guardare avanti, stimolare aspiranti coreografi, e non solo. Ogni tanto fa proprio bene vedere in scena dal vivo il lato positivo che contraddistingue la danza e la vitalità tipica degli americani. Il sogno e il mito degli USA ci accompagna, tramite la Tharp, in uno spettacolo che celebra un pezzo vivente della storia della danza al quale dobbiamo coreografie indimenticabili. Un onore dunque poter ammirare dal vivo i suoi ballerini di oggi con coreografie di un tempo, di cui si è letto solo nei libri di storia della danza o che si è trovato come piccoli frammenti  sul web.

Twyla Tharp Dance ha così aperto le danze al Teatro Verdi di Firenze. Tre le coreografie presentate, delle quali due sono cammei di repertorio, rappresentate nel 1976 e negli anni Ottanta (Country Dances e Brahms Paganini) mentre la terza, Beethoven Opus 130, è un’anteprima mondiale.

Per chi non ha vissuto in prima persona gli anni della Beat Generation ecco che guardando il primo pezzo, Country Dances, viene immediatamente catapultato in un’altra età storica, quasi provando nostalgia di un’epoca mai vissuta. La coinvolgente musica American Folk, gli sgargianti costumi e la bella vitalità dei quattro ballerini rendono fresco  e godibile un pezzo di oltre 20 minuti. Tre ballerine di diversa fisicità (che non guasta) e con tre diversi abiti danzano in modo incontenibile intorno all’unico uomo, più maturo di età ma non per questo meno vitale. Ognuno è valorizzato da un proprio piccolo e intenso assolo. Entrate, uscite, cambi di musica e di ballerini.  Giusto il tempo di rendersi conto di quanto sia coinvolgente il tutto, che è già è arrivata la fine del primo pezzo, con la scena dominata solo dal puro movimento.

Più classico e più tecnico, invece, l’atteso Beethoven Opus 130.  A partire dalla musica fino alla danza, virtuosistica più che mai. In Beethoven Opus 130 possiamo cogliere tutta l’essenza della ricerca del movimento della Tharp, somma di una quantità di esperienze collezionate nel tempo. Ovviamente lo stile è quello: spostamenti alla velocità della luce, linee infinite delle braccia, facilità di movimento anche quando scende il sudore copioso dalla schiena ma sempre seguendo la regola di “valorizzare quello che si ha”. I passi sono infatti incentrati sulle caratteristiche fisiche e le predisposizioni dei danzatori, che qui noti diversi, oltre che per i costumi proprio per evidenziare le differenze di ognuno. Il bello è che questo passa in secondo piano perché si viene completamente assorbiti dal vortice e quantità incredibile di gesti, quasi opulento ma sempre leggero e mai inopportuno, sfidando oltre ogni limite la resistenza umana.

Infine, per quanto riguarda l’ultimo pezzo, Brahms Paganini, degno di nota è l’incredibile assolo di oltre 10 minuti di Reed Tankersley, che il pubblico si trova a sostenere più volte con il fiato sospeso, sciogliendosi solo alla fine in un grande applauso. Divertente la seconda parte della coreografia sulle note al pianoforte di Variazioni sul tema Paganini di Johannes Brahms, con altri sei ballerini curiosamente vestiti dallo stilista Ralph Lauren, che sottolineano, una volta in più, il modo globale di vedere ed unire alla americana, alla Tharp.

Vanessa Bambi

23/06/2016

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