La recensione

Sasha Waltz inaugura Romaeuropa festival con Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra. Un inno alla vita e alla resistenza con 22 ballerini in scena.

Avvio di REf 2020 con le tre serate dedicate a Sasha Waltz & Guests. In scena Dialoge Roma 2020 Terra Sacra, un progetto creato per il Romaeuropa festival sulle note della Le Sacre du printemps di Stravinsky e del Bolero di Ravel, un inno alla vita e alla resistenza. Sold out alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma con un pubblico attento e commosso che vuole tornare a rivivere appieno l’arte e la danza.

Sono serate ancora quasi estive, quelle del 18-19 e 20 settembre che accolgono il primo appuntamento dell’edizione 2020 del Romaeuropa festival, un appuntamento che vede protagonista Sasha Waltz e i 22 ballerini della Sasha Waltz & Guest.

L’inaugurazione dell’evento questa volta è ancora più speciale, denso di significati molti dei quali impliciti ma ampiamente condivisi. La temperatura dolce esalta l’ospitalità della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, che accoglie in un grande abbraccio – tra i suoi grandi spazi aperti di arena e piazza – un pubblico avido di arte e danza. Sono serate che celebrano il ritorno di REf per la sua 35esima edizione; un festival che quest’anno assume un valore ancora più calato nella collettività segnata da mesi fatti di buio, di incertezze, di vuoti che probabilmente non sarà più possibile compensare. Un’edizione di riconquista, che scommette su nuovi limiti e possibilità solo poco tempo fa negate, dando vita a 64 eventi dal vivo + 70 online, attraverso tanti spazi romani: dall’Auditorium Parco della Musica, appunto, ai teatri Argentina, Vascello, Quarticciolo, India, dal Mattatoio all’Accademia di Francia a Villa Medici e al Maxxi. In un discorso articolato da settembre a novembre, tra Roma e il resto del pianeta, a partire dall’Europa, il programma di musica, danza, teatro e digital, parte dal garantire il rispetto delle misure di sicurezza e del distanziamento in sala e in scena, tra spettatori, operatori e artisti.

Queste nuove regole, dunque, guidano i lavori di Ref 2020 per scoprire differenti forme di contatto, tanto che Con-tatto diventa proprio il tema del festival, per sottolineare la necessità di nuove sensibilità nella costruzione delle relazioni. A partire dalla creazione di Sasha Waltz nata durante il lockdown in seguito ai costanti scambi della coreografa tedesca con il direttore Fabrizio Grifasi, che l’hanno portata a accogliere la sfida di confrontarsi con diversi confini e un luogo inconsueto per l’apertura del Romaeuropa Festival. Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra svela già nel suo titolo gli elementi costituitivi di questo progetto che ambisce a calarsi completamente nel momento storico in cui si realizza. Il primo focus è sui ben noti Dialoghi, format coreografico che assembla la danza a diverse forme artistiche più strutturali, quali spazi espositivi ed architettonici di città specifiche, utilizzato dalla compagnia berlinese fin dal 1993. In questo caso il dialogo avviene con il grande camaleonte realizzato da Renzo Piano: nella cavea i danzatori interagiscono diventando parte vivente dello spazio. Il secondo focus, invece, contiene un esplicito riferimento al capolavoro di Stravinskij – La Sagra della Primavera – già trattato dalla coreografa tedesca nel 2013 per il centenario del balletto di Nijinskij, ma adesso evidentemente rivisitato in base ai nuovi significati imposti dal contesto. Terra sacra così diventa allo stesso tempo sia la liturgia di un sacrificio inaspettato, a cui la pandemia ha chiamato tutti indistintamente, sia la riscoperta della sacralità della natura resa ancor più evidente nel periodo di lockdown.

Arriviamo in cavea in un percorso che, man mano, ci fa scorgere già i ballerini mentre ci posizioniamo ai nostri posti: sono forme morbide e autonome isolate nei loro mondi, angeli bianchi e guerrieri di vedetta che ci sorprendono dislocati tra le ringhiere, in mezzo agli alberi, dietro il vetro dei corridoi, al di sopra dell’emiciclo.

Il Parcour di questi insoliti custodi dell’Auditorium si sviluppa fino al termine degli ingressi degli ultimi spettatori arrivati, completandosi con le note elettroniche di Negative Ghostrider di Ben Frost che portano a posizionare i danzatori tutti sui bordi più alti della cavea. Le loro sequenze collegano ora cielo e terra fino a degradarsi con la discesa dalle scale laterali e il passaggio del testimone all’assolo danzato di Edivaldo Ernesto, pronto a esprimere sul palco tutta la sua potenza sulla tromba di Georg Friedrich Haas: I can’t breathe. Il pezzo è fortemente evocativo, composto nel 2014 per l’afroamericano Eric Garner, soffocato e ucciso da un agente di polizia statunitense. Un episodio purtroppo riattualizzato con la più recente uccisione di George Floyd dello scorso 25 maggio a Minneapolis in analoghe circostanze, che ci riporta a contestualizzare attraverso la danza – come in un filo continuo – gli avvenimenti di questi ultimi mesi. In gemiti di note, i movimenti contratti e soffocati del ballerino si estinguono più e più volte verso una terra che è accogliente unicamente con la sua gravità. Le cadute continue ricordano il protrarsi di una lotta costante contro forze maligne, in un tentativo di riscossa verso quei diritti umani innegabili troppo spesso calpestati.

Il transito a Le Sacre du printemps, ci coglie perciò attoniti al termine di questa lotta furiosa. Il passaggio è netto verso registri musicali completamente diversi; già dai costumi dalle sfumature brune delle donne e degli uomini sul palco iniziamo a calarci nel nostro personale rapporto con questa terra madre che necessita rispetto, attenzione, devozione, in tutta la sua sacralità troppo spesso depredata. La bellezza di ventuno danzatori in scena è ora abbagliante, dopo l’alienazione dell’astinenza pandemica; le privazioni dovute al distanziamento coreografico non portano a patire i limiti nella costruzione delle interazioni tra i gruppi e le coppie, le sequenze non risparmiano l’occupazione degli spazi e delle espressioni corporali. L’atmosfera si barcamena tra la solennità liturgica e la primitività dei gesti alla ricerca di una catarsi che sembra potersi realizzare solo tramite un sacrificio. In un rituale che appare per loro nuovo, i danzatori si mostrano sgomenti, smarriti, anche violenti di fronte a necessità di cui non percepiscono le origini. Non abbiamo un percorso che porta alla motivazione della scelta della vittima sacrificale, così come accaduto in questi mesi di pandemia che raccontano come si è tutti ugualmente deboli e inermi di fronte a mali incontrollabili. Il virus è “ecumenico” e mette tutti sullo stesso piano. Designata attraverso uno scambio delle vesti, l’eletta completa la nomina indossando un abito rosso, colore sacro del sacrificio, del sangue, della vita. Con un finale struggente, dice addio al pubblico consegnando le sue povere membra nude, infette, contaminate; è una morte che la trova sola e lontana dagli altri, “distanziata” in uno spazio che non è soltanto fisico ma dell’anima.

Lo spettacolo però, così come la vita, non è ancora finito: dopo un breve intervallo che induce ad una prima elaborazione dei lutti fin qui raccontati, Sasha Waltz affida le sue conclusioni al Bolero di Ravel. Un inno alla sopravvivenza che coincide con la speranza e la resistenza. Una chiusura necessaria, quasi fisiologica, al termine dei quadri precedenti scorsi senza fiato. L’incipit è portato da un passo a due di una coppia congiunta: apre le sequenze di variopinti danzatori che appaiono in crescita graduale. Il gioco ritmico della musica è assecondato dalle gioiose presenze alternati delle figure geometriche create dai corpi e dai movimenti. Si percepisce questa volta il piacere rinnovato dello stare insieme, un’armonia che esplode dal tutto assemblato con le singole componenti. Il termine del climax deflagra con le ultime note in una resurrezione consapevole. Perché è sempre possibile tornare alla vita, forse questo stesso un dovere. Aprendo lo spazio a quello che sarà e che potrebbe essere ancora troppo ingombrante, sconosciuto, disarmato. Trovando il modo (diverso) di esserci ancora una volta e per le prossime.

Giannarita Martino

28/09/2020

Foto: 1.-13. Le Sacre du printemps, Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra di Sasha Waltz, ph. Piero Tauro, Romaeuropa Festival; 14.-16. Edivaldo Ernesto, Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra di Sasha Waltz, ph. Piero Tauro, Romaeuropa Festival; 17.-18. Bolero, Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra di Sasha Waltz, ph. Piero Tauro, Romaeuropa Festival.

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