La recensione

Sara Sguotti vince DNAppunti corografici 2017. Nella finale a Roma i lavori di Beatrice Bresolin e Greta Francolini.

S.solo di e con Sara Sguotti, ha vinto l’edizione 2017 di DNAppunti corografici, progetto a sostegno dei giovani coreografi italiani. In finale a Roma al MACRO Testaccio – La Pelanda, nell’ambito del Romaeuropa Festival, altri due assolo: Io e l(‘)oro di e con Beatrice Bresolin e The Disintegration Loops/Ritornello di e con Greta Francolini.

Si è svolta lo scorso 15 novembre, presso il MACRO Testaccio – La Pelanda di Roma, la serata conclusiva del progetto a sostegno dei giovani coreografi italiani DNAppunti corografici, edizione 2017. Dopo le diverse fasi che lo caratterizzano – raccolta delle proposte, esame degli studi, residenze creative, contributo alla produzione – i coreografi selezionati quest’anno, Beatrice Bresolin, Greta Francolini e Sara Sguotti hanno presentato le rispettive progettualità, durante la programmazione del Romaeuropa Festival, alla presenza di una giuria composta da professionisti del settore: Ada D’Adamo, Gabrielle Cram e Adriana Boriello.

La prima, in ordine di esibizione, è stata Beatrice Bresolin, danzatrice, coreografa e insegnante attiva tra Italia e Germania. Formatasi presso lo studio Labor Gras di Berlino, ha studiato diverse tecniche d’insegnamento della danza classica e lavora come danzatrice per progetti con musicisti, videomakers, registi e fotografi. Non in ultimo, ricordiamo la sua recente presenza al corso di alta formazione professionale Dance Makerls, organizzato da CSC Centro per la Scena Contemporanea.

La ricerca di Beatrice Bresolin per il lavoro Io e l(‘)oro si sviluppa nello spazio e, contemporaneamente all’interno del corpo. È un viaggio solitario in cui non manca la coscienza del valore dell’altro.

Accompagnata da un enorme drappo dorato, quasi una seconda pelle – visibile al pubblico da subito e disteso verticalmente al centro dello spazio performativo – la coreografa/performer sperimenta infinite possibilità di movimento, sviluppando immagini simboliche che si avvicendano una dietro l’altra con fluidità e naturalezza.

La sua corporatura morbida, semplicemente coperta da un body color carne, si rivela come un segno forte all’interno dello spazio quasi totalmente buio. Il personale linguaggio che ne deriva rende evidente una concentrazione e un controllo che entra in un contrasto magnetico con la sua semplicità e la sua forza: purezza delle forme e vigore dello sguardo e del gesto.

Gli appunti coreografici presentati da Beatrice Bresolin muovono dalla metafora sulla caccia all’oro (avvenuta tra il XIX e il XX secolo e in cui numerosi italiani furono coinvolti) e dalla storia di Giovanni Dalla Costa: obiettivo del progetto è anche quello di spingere a non dimenticare la storia dell’immigrazione italiana e a riflettere quando, spesso, si giudicano i recenti fenomeni migratori. Invita, inoltre, a interrogarsi sulle proprie priorità e sull’importanza di non perderle mai di vista, unitamente «a prendere consapevolezza della bellezza di essere un corpo, necessariamente unico».

Attraverso la messa in scena del conflitto interiore di chi «sente contemporaneamente una spinta verso l’altrove, e un legame verso le origini» Io e l(‘)oro esorta a porsi la domanda “dov’è il tuo oro?”: la tensione tra il rischio di mettersi in gioco e la voglia di sicurezza, stabilità e familiarità si respira con energica consapevolezza.

Dopo una breve pausa torna il buio in sala. Nella penombra s’intravede una figura che con passo deciso taglia in diagonale la scena e si posizione sul lato destro di chi guarda, a breve distanza dal pubblico. È Greta Francolini, una giovanissima performer/coreografa nata a Empoli, classe 1993, che, a oggi, ha all’attivo tre lavori: 14 movimenti, presentato all’interno del progetto Multilove // Sunshine per Fabbrica Europa; Solo Sapore, selezionato per la Toscana a Nuove Traiettorie XL – percorsi di formazione per giovani autori / azione Network Anticorpi XL e per il progetto TU35 EXPANDEND del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato; The Disintegration Loops/Ritornello, finalista di DNAppunti coreografici 2017.

«Partendo dal presupposto che The Disintegration Loops è una musica d’ambiente e crea un habitat cui i presenti partecipano», quello che incuriosisce la Francolini è un’indagine sul significato che il termine ambiente può assumere in relazione alla sua ricerca. Anche il saggio Mille piani – nato dalla collaborazione tra il filosofo francese Gilles Deleuze e lo psicanalista Félix Guattieri – supporta la coreografa in quest’analisi considerando che un capitolo del libro, pubblicato nel 1980, è dedicato proprio ai concetti di ambiente, ritornello e ritmo.

Tuttavia, The Disintegration Loops è soprattutto il prodotto di quel processo sperimentato – nell’opera omonima – dal musicista statunitense William Basinski: nel tentativo di trasferire in formato digitale alcuni loops da lui incisi su nastri magnetici, egli osservò che questi, dopo essersi rovinati col passare del tempo, restituivano uno strano effetto sulla traccia audio. Infatti, con lo scorrere del nastro, il suono andava come sgretolandosi e l’effetto ottenuto fu quello di un motivo ripetuto all’infinito che, progressivamente, si deteriorava.

Alla base del lavoro della coreografa – presente in scena con scarpe da ginnastica, top e pantalone sportivo aderente – c’è proprio il concetto di ripetizione: «così come il campione, che ripetendosi perde degli elementi e quindi si allontana dall’originale, il movimento, pretendendo di essere sempre uguale, diviene alla fine alieno a sé e alienante».

La Francolini cerca di portare in danza i principi elaborati da Basinski, sperimentando cosa significa per lei e per il suo corpo ripetersi all’infinito, fino alla distruzione. «In fase di residenza ho approfondito la dinamica della ripetizione, andando oltre la semplice ripetizione meccanicistica del corpo che ripete un movimento. Se penso a un qualcosa che si ripete non per forza, penso a un qualcosa che naturalmente resta uguale, piuttosto che vuole rimanere uguale. A tal proposito mi sono interrogata sulla differenza tra un movimento che si ripete e un movimento che è ripetuto». Oltretutto, «ripetere è anche provare, aggiustare. Una ripetizione è in un certo senso una rassicurazione, una riprova. Più ripeto e più divento sicuro, padrone della materia di studio. E forse è proprio quando conosco un qualcosa a tal punto da ripeterlo a memoria, forse è proprio allora che riesco a ri-conoscere quella medesima cosa in un modo completamente altro».

A colpire maggiormente sono lo guardo serafico ma alienato e l’espressività – apparente inespressiva – che la coreografa riesce a tenere salda, con lampante capacità, durante tutto il tempo della performance. Grazie a questa determinazione Greta Francolini è riuscita a evidenziare tutti gli aspetti caratteristici del suo studio, aspetti che, anche grazie alle sue note di regia, risultano chiaramente fondanti della sua particolarissima ricerca non priva di reazioni contrastanti tra i presenti.

Preceduta in scena da due tecnici che velocemente, ma con precisione, tracciano sul lato sinistro della pedana un rettangolo bianco, Sara Sguotti è la terza e ultima artista a presentare i propri appunti di lavoro, dal titolo S.solo, per l’edizione numero trentadue del Romaeuropa Festival.

Sara Sguotti si presenta al pubblico con capelli raccolti, schiena e torace nudi. Solo una colulotte nera è indossata da un corpo che, fin da subito, si manifesta nella potenza del suo essere vivo.

Il personale percorso coreografico di questa danzatrice inizia proprio con S.solo, nel 2016, anno in cui, con Simone Cisternino dà inizio anche al progetto Sa.Ni. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, Sara Sguotti prende parte a un progetto collettivo con la compagnia RitmiSotterranei di Alessia Gatta e, nel 2012, collabora con la Compagnia Virginio Sieni.

Il suo studio inizia con l’avvicinare una poesia di Charles Baudelaire (Il serpente che danza), alcune opere di Louise Borgeoise, Tracy Emin e Ren Hang. «L’interesse di legare queste opere insieme», dice la performer, «è spinto dal puro piacere che queste operano su di me. L’obiettivo è la trasmissione, la necessità di tramandare attraverso il corpo l’esperienza sensibile che queste hanno operato nella mia persona, per far rivivere a chi guarda, in maniera libera, l’evocazione del proprio tormento. S.solo è un autoritratto del mio piacere».

Un vero animale in gabbia quello rappresentato, che trova nello spazio ritagliato sul tappeto di linoleum l’unico luogo possibile in cui esprimersi e raccontarsi. Un iniziale movimento reiterato e sempre più spasmodico della testa fa si che la folta chioma si liberi dall’elastico che li teneva imprigionati. Ecco, cade il primo limite.

La massa informe, snaturata, macabra e viscerale che risiede dentro questo corpo lentamente si mostra. Progressivamente seduce e riesce a mostrare la parte più profonda di sé. Da una condizione orizzontale, dopo aver superato numerosi ostacoli e vincoli – molti dei quali autoimposti e connaturati nello stesso desiderio di libertà, all’interno di uno spazio non propriamente scelto liberamente – torna, disinvolto, a una condizione verticale. Ecco una nuova costrizione, un nuovo limite da abbandonare attraverso l’abdicazione – temporanea –  dal corpo stesso.

Una fisicità statuaria, imponente, giunonica quella che Sara Sguotti padroneggia con sicurezza e maestria. Un movimento organico, carnale e sensuale che rapisce, ammalia senza essere mai volgare o inopportuno nonostante la nudità. Una nudità che, in ultima istanza, riguarda più l’anima che la carne. Una trasparenza che abbraccia più il contenuto che la materia, a tratti eterea e sublime nonostante l’attaccamento feroce alla terra, quell’unico lembo di terra che definisce la vita e la morte al luccichio di una muscolatura ormai umida di passione e lotta. Tutto si trasforma e si rinnova. Semplicemente «diventa nuovamente corpo».

Conclusa la presentazione dell’ultimo elaborato, la giuria si è riunita per circa trenta minuti. Terminato questo tempo, la stessa ha individuato, all’unanimità, in Sara Sguotti la vincitrice di DNAppunti coreografici 2017. A lei il merito di aver creato un «lavoro in cui tutti gli elementi della creazione confluiscono in una proposta che manifesta una compiutezza, ma il cui materiale, allo stesso tempo, può essere sviluppato e approfondito. In particolare la giuria ha apprezzato l’urgenza espressiva di una corporeità eretica e trasgressiva, un corpo che diventa materiale per una coreografia scultorea».

A Sara Sguotti il sostegno alla creazione da parte di Fondazione Romaeuropa, Cango/Centro di produzione sui linguaggi del corpo e della danza di Firenze, Centro per la Scena Contemporanea/Operaestate Festival de Comune di Bassano del Grappa, L’arboreto – Teatro Dimora di Mindaino, Gender Bender di Bologna, Fondazione Teatro Grande di Bologna unitamente alle nostre più vive congratulazioni e un sincero in bocca al lupo per un futuro radioso e ricco di grandi soddisfazioni.

Tiziano Di Muzio

29/11/2017

DanzaEffebi meets Romaeropa

Foto: 1.-3. Io e l(‘)oro di e con Beatrice Bresolin, ph. Piero Tauro; 4.-5. The Disintegration Loops/Ritornello di e con Greta Francolini, ph. Piero Tauro; 6.-8. S.solo di e con Sara Sguotti, ph. Piero Tauro.

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