Mario Marozzi
Mario Marozzi ripercorre la sua carriera, dalla Scuola di danza alla nomina come étoile dell’Opera di Roma su candidatura di Carla Fracci, al suo addio alle scene. Racconta i suoi ruoli preferiti, i coreografi e le partner con cui ha lavorato. Nell’intervista anche la sua opinione sui talent televisivi, sull’evoluzione della tecnica maschile, un chiarimento sulla sua candidatura a direttore del Corpo di ballo della fondazione lirica romana e la sua opinione sull’attuale situazione all’Opera di Roma.
Mario, come ti sei avvicinato alla danza e qual è stato il tuo percorso artistico?
Mia sorella, di due anni più grande di me, frequentava la scuola dell’Opera di Roma. Mia madre mi portava con lei e così, guardando saggi e spettacoli, mi sono appassionato alla danza e gli ho chiesto di iscrivermi.
Come descriveresti la tua esperienza presso la Scuola di ballo del teatro dell’Opera di Roma, dove peraltro ti sei diplomato con il massimo dei voti?
Un’esperienza certamente dura e faticosa ma straordinariamente passionale. Un’esperienza che mi ha arricchito molto sul piano umanistico. Un percorso che forse ti impedisce di vivere appieno una adolescenza “normale” ma, non ho rimpianti.
Vuoi ricordare in particolare qualche maestro di quell’epoca e perché?
Sicuramente la maestra Olga Amati. La persona che per prima mi ha messo le mani alla sbarra. Una donna fantastica che fin dall’inizio ha saputo trovare la chiave per farci appassionare. Aveva una sensibilità ed una umanità incredibile ed era avanti con i tempi. Non ci mostrava solo i passi ma ci faceva anche lunghi discorsi su quello che sarebbe stato il nostro futuro lavorando anche individualmente su ogni singolo allievo. Aveva già capito chi avrebbe fatto di più e chi avrebbe “mollato”.
Primo ballerino étoile del Teatro dell’Opera di Roma, quando è arrivata la nomina e come?
La nomina di Primo ballerino è arrivata nel 1988 attraverso il Concorso interno anche se, ad essere sinceri, già da alcuni anni mi venivano affidati ruoli da étoile e da primo ballerino. La nomina di primo ballerino étoile invece è arrivata per meriti nel 2003 su richiesta dell’allora direttrice maestra Carla Fracci.
Il mondo della danza è molto affascinante. Potresti descriverlo, dal tuo punto di vista, per i nostri lettori? Per te è stato subito amore a prima vista?
Non saprei come descriverlo. Certamente è affascinante ma non è un mondo dorato come potrebbe apparire ad un lettore. Anche qui, come in tutte le cose, non mancano zone d’ombra. Io ho amato quest’arte fin dal primo giorno e questa passione mi ha sempre aiutato a superare ogni difficoltà .
Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito?
Il Don Chisciotte interpretato da Vladimir Vasiliev. Avevo 16 anni e mi affascinarono l’eleganza, la personalità e la tecnica con cui egli interpretò Basilio. Ebbi la fortuna di lavorarci affianco e rimasi colpito dalla sua grande umiltà. Capii l’importanza di quelle qualità e, da allora, compresi bene quali fossero gli obiettivi da perseguire.
Hai interpretato tante volte il principe nel Lago dei Cigni, è il ruolo che hai maggiormente preferito nel tuo repertorio? Oppure ce ne sono altri?
Sono tanti i ruoli del repertorio classico che ho amato anche se, Il lago dei Cigni, in effetti, è stato il balletto che ho interpretato in ben cinque diverse versioni. La prima fu quella di Jurij Grigorovic e poi, successivamente, quelle di Evgheni Polyakov, di Oleg Mikhailovich Vinogradov, di Zarko Prebil e di Galina Samsova. Personalmente ho sempre preferito i ruoli di grande interpretazione come, ad esempio, Romeo, Spartacus o Albrecht.
Dei ruoli solistici che hai interpretato, in quale ti sei rispecchiato di più?
Sicuramente in quelli di Romeo e di Spartacus. Due ruoli diversi ma affini al mio carattere. Romeo, romantico e innamorato e Spartacus, eroico e passionale. Le stesse caratteristiche che hanno anche segnato il percorso della mia vita privata.
Con quali coreografi hai amato maggiormente lavorare?
Nel nostro lavoro, come sai, si lavora spesso con gli assistenti poiché i coreografi non sempre riescono a dare la propria disponibilità oppure, ovviamente, perché non più tra noi come Balanchine, Cranko o Robbins. Agli inizi della mia carriera ricordo con affetto Aurel Milloss e Anton Dolin. Poi, successivamente, Enrique Martinez al quale ero legato da una profonda amicizia. Con la sua splendida Coppelia è il coreografo che più mi ha invitato in compagnie estere. Naturalmente ce ne sarebbero tanti altri da menzionare ma l’elenco sarebbe davvero troppo lungo.
E qual è stata la danzatrice con cui hai avuto più pathos in scena? Quasi tutte. Sembrerà strano ma, quando si balla con grandi danzatrici non puoi non emozionarti e non condividere i sentimenti e le sensazioni che con lei attraversi nell’interpretazione di vari ruoli. Non voglio fare una classifica, non sarebbe corretto e farei un torto a molte ma, solo fare un esempio, quando balli vicino a danzatrici come Maya Plisetskaya, Elisabetta Terabust o Carla Fracci si crea naturalmente un forte phatos.
Sei stato spesso ospite come guest in tante compagnie all’estero. Per citarne alcune, Northern Ballet a Londra, Balletto Nazionale a Rio de Janeiro, Deutsche Oper di Berlino. Di tutte queste esperienze quali reputi la più positiva o semplicemente quella che ti ha arricchito a livello professionale?
La prima e più lunga esperienza è stata in Inghilterra al Northern Ballet. Avevo appena 20 anni e dopo aver vinto il concorso di ammissione al Teatro dell’Opera, sentii l’esigenza di fare esperienze all’estero. Partecipai così con successo ad un’audizione del Northern Ballet e, subito dopo, chiesi ed ottenni una aspettativa di un anno nel corso del quale, seppur giovanissimo, mi furono affidate oltre 200 repliche in ruoli solistici e da primo ballerino. Questa prima esperienza fu per me fantastica. Poi, negli anni successivi, fui invitato presso altre compagnie tra cui, per diversi anni, in quella di Tolosa che, mi invitò come ospite al fianco di danzatrici fantastiche come l’étoile dell’opera di Parigi Elisabeth Maurin. Fu poi la volta della Deutsche Oper Berlin che mi impressionò per la straordinaria capacità organizzativa e l’alto livello di professionalità. In conclusione credo che per un giovane danzatore sia fondamentale vivere delle esperienze all’estero poiché in Italia la danza non è valorizzata come in altri paesi. Ai giovani danzatori italiani di talento consiglio sempre di cimentarsi in questo tipo di esperienze.
Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?
Qualità fisiche, tecniche ed interpretative ma anche passione, “testa” ed umiltà. Le une senza le altre hanno spesso vita breve.
Ci sono stati anche momenti negativi durante la tua carriera?
Certo, in particolare quando mi sono infortunato. Gli infortuni fanno parte del percorso professionale di un danzatore ma io, ho dovuto affrontare interventi chirurgici alle ginocchia, ai piedi ed alla schiena. Sono stati momenti difficili, di sofferta inattività e di grande incertezza per il futuro. Solo la grande passione per questa arte mi ha dato la forza di reagire a tali sconfortanti avversità.
Quali sono stati i sacrifici più grandi che hai fatto in nome della danza?
In realtà, quando fai ciò che ami, non hai mai la sensazione di sopportare il peso di un vero sacrificio inteso come sofferenza. Il percorso di un danzatore, come ho già detto, è costellato di sacrifici di ogni genere ma io, ad eccezione degli interventi chirurgici, non li ho mai percepiti come tali. Forse, soprattutto in gioventù, ho dovuto affrontare qualche privazione ma, come ho già detto, non ho rimpianti e rifarei esattamente tutto quello che ho fatto.
Cosa ne pensi dei talent televisivi sulla danza?
Questo è un argomento complesso che meriterebbe una trattazione approfondita e molto più articolata di quanto si possa fare in un’intervista. Comunque, in sintesi, penso che sia la classica medaglia a due facce e quindi ne penso bene e male al tempo stesso. La Tv rappresenta da sempre una grande opportunità per la divulgazione della danza. Ma questa arte si declina in tante diverse forme. Alcune sono nate ieri, magari per la strada, alcune esistono da secoli. Tutte rispettabili ma, ognuna di esse ha la propria storia, la propria vocazione, le proprie finalità. Alcuni stili, molto spettacolari, portano con sé una cultura molto assimilabile a quella sportiva che meglio si presta alla competizione e quindi, all’esigenza centrale di questi. E questi balletti, spesso sono caratterizzati dall’esecuzione di notevoli gesti tecnici che evidenziano capacità atletiche a volte anche superiori a quelle di un grande étoile. Ma, altrettanto spesso, sono performance fini a sé stesse, dove l’elemento interpretazione non è centrale anche perché, spesso, non c’è una storia da raccontare. Altri balletti, in particolare quelli di repertorio, portano invece con sé una cultura più accademica che mal si adatta ad una competizione, spesso troppo urlata e controversa. Il duro lavoro quotidiano è la sola via per un giovane che vuole sviluppare e mettere in evidenza il proprio talento. In questi talent, purtroppo, ho visto spesso giovani esuberanti non rispettare i propri maestri e smarrirsi nell’illusione della propria presunzione. Alcuni ne beneficiano in termini di popolarità ma per carriere spesso molto brevi. La danza classica è una disciplina fondata su regole semplici ma ferree e, l’esercizio della sua professione, lo si apprende nelle sole accademie e nelle sole scuole professionali.
Oggi la danza è cambiata ed è diventata anche molto maschile e atletica, quali sono le difficoltà maggiori sul piano tecnico e se vogliamo anche psicologico per un danzatore?
L’evoluzione della tecnica è continua. Oggi ci sono danzatori che fanno cose fino a ieri quasi inimmaginabili che richiedono molta più forza e capacità atletiche. I coefficienti di difficoltà si sono elevati molto e questo può positivo ed importante. Ma non bisogna trascurare l’importanza delle capacità di interpretazione e del senso artistico di un balletto. Come ho già detto, la forza e la tecnica prive di un senso artistico, rimangono fini a se stesse, belle ma incompiute.
E’ difficile conciliare una vita privata con la carriera di danzatore, spesso in giro per il mondo?
Non ho mai creduto che dedicarsi ad una attività professionale, ancorché impegnativa come la danza, comporti di per sé un rischio. La serenità e le gioie di una vita privata realizzata dipendono quasi sempre dalle scelte che ognuno di noi fa ed ha fatto. E poi ritengo che sia un errore rincorrere carriera e successo senza curarsi delle tante cose belle che anche una vita privata può darti. E’ giusto che anche i nostri affetti trovino uno spazio adeguato ed altrettanto importante.
Nel Maggio del 2012 hai terminato la tua carriera danzando Symphonie pour un homme seul di Maurice Béjart al Teatro dell’Opera di Roma durante la commovente cerimonia di addio alle scene? Descrivici la serata, le emozioni, i sentimenti di un “passo” così importante nella carriera di un danzatore?
Credo che in quella serata, dopo 40 anni trascorsi al Teatro dell’Opera, io abbia vissuto una delle emozioni più grandi. Non potevo desiderare miglior addio, se di addio si può parlare. Ero talmente emozionato che quando si è aperto il sipario le mie gambe hanno tremato come agli esordi. Non era la solita emozione da ansia che ogni artista prova prima di entrare in scena. Era un’emozione nuova e diversa. Consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta, volevo dare il meglio di me cercando di comunicare a quel pubblico che per tanti anni mi ha visto danzare sul quel palcoscenico, non solo l’interpretazione coreografica di Symphonie pour un homme seul che tratta il sentimento di un uomo solo e deluso che vuole sfuggire dalle regole di una società e vuole sottrarsi anche alla morte, ma anche i sentimenti e le emozioni che mi attraversavano in quel particolare momento. Il lungo e quasi interminabile applauso di ringraziamento che mi fu tributato alla fine dell’esibizione, mi ha regalato la straordinaria sensazione che il pubblico presente abbia percepito e condiviso quelle mie stesse emozioni. E’ stato meraviglioso vedere quel pubblico in piedi che ti tributava ogni riconoscimento mentre venivo avvolto anche dal calore di tutti i miei compagni di viaggio. Naturalmente non mi riferisco ai soli colleghi danzatori ma anche ai macchinisti, agli attrezzisti, agli elettricisti, alle sarte, all’orchestra, agli uscieri, insomma a tutti. Tutti uniti in un grande abbraccio che non potrò mai dimenticare.
Come sono cambiate le tue giornate senza più l’impegno della danza quotidiana?
E’ cambiata la quotidianità delle lezioni e delle prove che avevo come danzatore ma, non il mio impegno nella danza e per la danza che, rimane la stella polare della mia vita e mi impegna in altre forme. Peraltro la non quotidianità, mi permette di dedicarmi a nuovi progetti ed all’altra mia passione, la pittura.
Collabori con la tua amica e collega Laura Comi e con il tuo amico di sempre il coreografo Mauro Bigonzetti? Cosa ti lega profondamente a loro?
Laura Comi è stata per tanti anni la mia partner al Teatro dell’Opera di Roma. Abbiamo condiviso un lungo sodalizio professionale costellato di tanti bei momenti insieme e siamo anche legati da una grande amicizia. Il legame con Mauro va oltre il concetto di amicizia. Mauro è il fratello che non ho avuto e rappresenta per me una persona speciale. Ci conosciamo da oltre 40 anni. Abbiamo iniziato insieme alla Scuola di ballo e abbiamo frequentato lo stesso liceo artistico. Inoltre ci ha sempre legato la stessa passione e visione artistica della danza. Infatti, proprio in questi giorni sto rimontando una sua coreografia per i ragazzi della scuola del Teatro dell’Opera di Roma di cui Laura è direttrice. Ma, al di la dell’affetto fraterno, ritengo Mauro Bigonzetti uno dei più grandi coreografi contemporanei, una eccellenza italiana a livello internazionale.
Per un certo periodo hai sperato e caldeggiato nella nomina alla Direzione del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Cosa ne pensi di tutta la vicenda che in questi giorni è cronaca viva sul Teatro dell’Opera?
Con questa domanda mi dai la possibilità di fare chiarezza su questa storia. La mia candidatura alla Direzione del Corpo di Ballo, non nasce da una mia idea o da una mia specifica richiesta. Tutto nasce da un idea di un gruppo di circa 200 persone, quasi tutti artisti e lavoratori dello spettacolo, che si sono uniti con lo scopo di promuovere la meritocrazia nel “Sistema Italia” e, più in particolare nel mondo della cultura. Alcuni di loro avevano saputo del mio spettacolo di addio al Teatro dell’Opera e, quando alcuni giornali pubblicarono la notizia che il mandato per questo incarico era in scadenza, si riunirono per decidere chi sostenere. Fu determinante un’intervista del sindaco Marino che disse di voler considerare l’importanza delle figure professionali romane per incarichi di prestigio su Roma. Fui scelto io e così mi chiamarono per chiedermi se ero interessato a ricoprire quel ruolo. Naturalmente ne fui lusingato ed accettai con lo spirito di un bambino a cui si chiede se vuole lo zucchero filato. E’ cosi che fu costituito il comitato “Mario all’Opera” i cui scopi furono comunicati con una lettera allo stesso Sindaco ed al sovraintendente Carlo Fuortes. In quegli stessi giorni fu anche lanciata una petizione a sostegno della mia candidatura che riscosse circa 2.500 consensi in meno di dieci giorni. In questa occasione voglio ringraziare pubblicamente tutti coloro che mi hanno tributato con stima il loro sostegno anche se, a tutt’oggi, le mie richieste e quell’iniziativa, non hanno ancora prodotto alcun riscontro. Non so se mi chiameranno ma, se decideranno di farlo, saprei, dopo quarant’anni trascorsi all’interno di quel teatro, come poter dare il mio contributo. Conosco a fondo le problematiche di un ente lirico e credo di avere la giusta esperienza per sviluppare un lavoro di eccellenza. Non mi interessano notorietà e facili guadagni. Mi spingono la passione verso l’arte della danza e l’amore verso un teatro che definisco “il mio teatro”. Saprei come crescere giovani talenti e saprei come coinvolgere coreografi di qualità. Creare arte, bellezza e cultura non è semplice ma si può fare mettendo ogni cosa al posto giusto. Una città come Roma deve essere rappresentata da una compagnia di balletto che goda di prestigio internazionale. Invece, sulle tristi vicende che oggi investono il Teatro dell’Opera di Roma, posso solo dire che ne sono rimasto sconcertato. I mali di questo Teatro partono da lontano e, solo oggi, come un onda lunga, ne vediamo gli effetti. Ho letto di gestioni al limite della spericolatezza e di un eccesso di privilegi. Quando le cose vanno male, nessuno assume responsabilità e tutti danno la colpa a tutti ma mai a sé stessi. Una cosa è chiara: tutti siamo chiamati a fare una sana autocritica. I fondi a caduta libera sono finiti e credo che sia inevitabile un profondo cambiamento. Bisogna ambire a risultati artistici ed economici più elevati. Non si può più pensare di investire milioni per poche repliche senza conseguire nessun tipo di risultato. Roma vuole un Teatro dell’Opera che sappia fare cultura attraverso progetti prestigiosi ma anche sostenibili da un punto di vista economico. Ciò premesso, non posso condividere la decisione di un “azzeramento” degli organici dei nostri orchestrali e degli artisti del coro. I teatri delle più grandi città d’Europa e del mondo, hanno tutte un proprio organico artistico costituito da un’orchestra, un coro ed un ballo stabili che, solo attraverso questa condizione, possono perseguire eccellenza ed elevati livelli di qualità. Credo che le scelte radicali e dolorose di questi ultimi giorni, anche sotto un profilo umano, produrranno solo una perdita irreversibile dei livelli di qualità fin qui acquisiti”.
Durante la tua carriera all’Opera sei stato anche il pupillo di Carla Fracci, che nutriva molta stima per te e ti ha voluto al suo fianco in scena. Che ricordi conservi e cosa devi a lei?
Certamente riconoscenza, sentimento oggi molto poco diffuso. E’ stata la mia direttrice per 10 anni ed a lei devo la mia candidatura e promozione a étoile. E’ stata una grande maestra ma anche una splendida compagna di viaggio in tanti balletti. Da lei ho imparato a non mollare mai e con lei ho avuto la conferma dell’importanza dell’impegno quotidiano. Lei, ancora oggi, rappresenta un esempio di professionalità quasi irripetibile. Mi ritengo fortunato e privilegiato per aver potuto danzare con una grandissima artista ed una icona della danza.
A un certo punto della tua carriera sei passato dal palcoscenico alla televisione, come Primo ballerino in Fantastico e altri show. Quali sono le maggiori differenze dal teatro alla tv?
La TV di quell’epoca era diversa da quella di oggi. Devo quell’esperienza alle intuizioni innovative del coreografo Franco Miseria che in quegli anni fece esibire diversi danzatori classici in programmi televisivi molto popolari. Le maggiori difficoltà furono rappresentate dall’esigenza di doversi adattare a stili ed ambienti diversi. Danzare un nuovo stile su dei pavimenti non sempre adeguati davanti ad una telecamera non era come danzare davanti ad un pubblico e sopra un palcoscenico. Ma, superate queste prime difficoltà, apprezzai quel tipo di esperienza che ha contribuito alla mia formazione professionale.
Oggi ti dedichi alla formazione e alla didattica. Come si riconosce un buon maestro e una buona scuola di danza?
Un buon maestro è colui che sa sviluppare ed accrescere contemporaneamente le potenzialità di ogni singolo allievo e di una intera classe. E’ colui che sa indicare ai propri allievi il loro percorso migliore. Egli deve conoscere bene, come un padre per i propri figli, quali responsabilità sono in capo al suo ruolo. Deve possedere doti umane e saper comunicare. Autoritario, duro e critico quando è necessario ma comprensivo al tempo stesso. Deve essere un punto di riferimento per ognuno dei propri allievi.
Quasi sempre una buona scuola di danza la si riconosce dalla propria storia, da quella dei propri insegnanti e dai risultati ottenuti nel tempo. Non sempre il successo economico di una scuola di danza, coincide con un successo di risultati.
Qual è l’emozione più viva di tutta la tua importante carriera?
Quella che deve ancora venire…
Michele Olivieri
2/11/2014
http://youtu.be/8I7K8VpZMDU