Kylián, Inger, Forsythe. Meritati applausi per il Balletto del Teatro dell’Opera di Roma per il Trittico d’autore
In scena fino al 21 marzo 2018 al Teatro dell’Opera di Roma tre capolavori coreografici ben interpretati dal Corpo di ballo capitolino: Petite Mort di Jiří Kylián, Artifact Suite di William Forsythe, e il più recente Walking Mad di Johan Inger. Uno spettacolo ricco di suggestioni, che rivela un corpo di ballo in buona forma e in continua crescita, alle prese con tre stili differenti e complessi e all’altezza della sfida interpretativa. Eccellenti i primi ballerini Susanna Salvi, Claudio Cocino, Alessio Rezza e ottima prova per Michele Satriano, Eugenia Brezzi, Loick Pireaux, Jacopo Giarda. Lodevole il lavoro della direttrice Eleonora Abbagnato nell’ampliamento del repertorio della compagnia e nella valorizzazione degli interpreti.
Sono in scena fino al 21 marzo 2018 al Teatro Costanzi i lavori di tre grandi maestri, mai eseguiti prima d’ora dal Balletto del Teatro dell’Opera di Roma ed eccezionalmente riuniti in un’unica serata: Petite Mort di Jiří Kylián, Walking Mad di Johan Inger e Artifact Suite di William Forsythe. Un programma inedito per il teatro capitolino, che accoglie finalmente due dei maggiori titoli della storia della coreografia contemporanea (Petite Mort e Artifact, creazioni del 1991 e del 1984) e l’opera del 2001 di Johan Inger, autore tra i più apprezzati sull’attuale scena internazionale. Doveroso riconoscere qui i meriti della direttrice Eleonora Abbagnato nell’ampliamento del repertorio della compagnia romana, in termini di qualità e varietà di brani e stili, con programmazioni che allineano l’Opera di Roma alla direzione artistica dei più grandi teatri europei (pensiamo anche alla recente, riuscita, Soirée Française, che ha portato in scena Suite en blanc di Serge Lifar e Pink Floyd Ballet di Roland Petit, rivelando un corpo di ballo in buona forma). Un bel segnale di prestigio e di crescita per il Balletto romano, che coraggiosamente sfida le abitudini del pubblico diversificando l’offerta artistica e guidando alla fruizione dei capolavori della danza di fine Novecento.
Dedicata ad Elisabetta Terabust, la Prima del 15 marzo 2018 si è aperta con il ricordo commosso dell’étoile e direttrice onoraria della Scuola di danza e del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma: grandissima e indimenticabile artista, tante volte ammirata sui palcoscenici romani e del mondo.
Sono poi le note di Wofgang Amadeus Mozart (Adagio n.23, K488) a risuonare nella sala del Costanzi, mentre il palcoscenico lentamente si accende tra i riflessi dorati della danza d’amore di Jiří Kylián, Petite Mort. I fioretti in equilibrio sulle dita di sei uomini in cammino (di spalle, incontro ad un destino sconosciuto) vibrano come armi sospese di un potere bifronte, che in guerra uccide e d’amore muore: appendici appuntite di anime disarmate, le lame disegnano nell’aria le parole non dette di un confronto e squarciano gli invisibili veli di una separazione. Saranno poi le donne ad avanzare in scena, dee di sensualità e bellezza, nate d’improvviso dalle onde spumose di un mare di seta azzurra. La musica di Mozart accarezza i profili di figure sinuose e i sessi finalmente si fronteggiano, preannunciando una morte ‘piccola’ e potente, ossimoro di un piacere che uccide nell’attimo e che eternamente rinasce (‘petite mort’ è l’espressione che in lingua francese indica la breve perdita di coscienza associata all’orgasmo). I tre pas de deux centrali regalano momenti coreografici memorabili, tra i più belli della storia della danza contemporanea: immagini indelebili di corpi statuari, eternamente intrecciati in un dialogo d’amore fatto di silenzi, inquietudini e riconciliazioni. Parole di desiderio e paura, che articolano un’unione e che, nell’illusione di un istante, annullano la separazione dei corpi.
La compagnia dell’Opera di Roma risponde con disciplina e rigore, onorando lo stile di Kylián con un’interpretazione intensa e armoniosa: abilissimi gli uomini al primo ingresso, ensemble poderoso che impugna con sicurezza i fioretti del tempo. Manca, a volte, una perfetta sincronia d’insieme ma, di contro, notiamo l’accuratezza del lavoro sugli interpreti, qui individualmente protagonisti e meritevoli d’attenzione. Meravigliosi i primi ballerini Susanna Salvi e Claudio Cocino, padroni assoluti di una danza appassionata, che ne esalta la tecnica d’acciaio e ne arrotonda il movimento in un incontro di linee e curve, sguardi e respiri all’unisono. Ugualmente protagoniste della scena, le coppie composte da Sara Loro e Marco Marangio, Claudia Bailetti e Jacopo Giarda, perfetti interpreti dei pas de deux finali tra contatti frementi e fughe, interruzioni improvvise e definitivi abbandoni. Bene l’ensemble femminile (a cui si aggiungono le brave Annalisa Cianci, Virginia Giovanetti e Giorgia Calenda) non solo al primo ingresso, ma anche nella suggestiva scena con gli abiti scuri “camminanti”: involucri rigidi e vuoti di femminilità imposte e finalmente abbandonate. Nel gruppo maschile, anche i bravi Domenico Gibaldo, Massimiliano Rizzo e il giovanissimo Alessandro Casà.
Poetico e folle, Walking Mad di Johan Inger, brano di frenetiche e umane illusioni prigioniere nelle caverne dell’intelletto. L’uomo solitario in bombetta che si aggira in platea alla ricerca di un posto finisce catapultato in scena e poi rispedito in proscenio da un imponente muro grigio: inquietante immagine di un confine invalicabile e richiamo irresistibile verso un mondo altro da raggiungere e toccare. Le note celebri del Bolero di Maurice Ravel scandiscono gli attimi di una ricerca ossessiva, che sonoramente sbatte contro i limiti della conoscenza e lotta con le ombre del mondo. Nove personaggi bizzarri (sei uomini e tre donne), abitanti di un universo “alla Magritte”, si alternano tra il lato visibile e quello nascosto del grande muro, in un circolo infinito di prigionia e liberazione, tra improvvisi spiragli di fuga e porte di verità inattese. Sarà l’estasi amorosa a raccontarci le cadute e le risalite di queste anime inquiete, che vibrano al passaggio di forme armoniose e d’un tratto volano oltre i muri del tempo e del conoscibile.
Ironicamente nostalgico e drammaticamente romantico, il racconto di Inger si interrompe al culmine del furore di Ravel inchiodando una donna nell’angolo grigio della propria solitudine, testimone di un’angoscia originale e poi guerriera di un nuovo destino. Eccellente qui l’interpretazione di Eugenia Brezzi, di cui ci colpisce il contrasto tra la figura dorata e il movimento furioso, abilissima nello stile del coreografo svedese che sapientemente accosta potenza e leggerezza, silenzio e frastuono, voli e cadute. Sempre ottimo il primo ballerino Alessio Rezza, che dà nuovamente prova di straordinaria versatilità stilistica e controllo del movimento: amiamo del danzatore pugliese la capacità di frammentare e sospendere il gesto valorizzando ogni minimo dettaglio coreografico, favorito anche da un acuto senso musicale che gli consente di gestire con sensibilità e precisione ogni sfumatura interpretativa. Bravi Giorgia Calenda, interprete brillante dalla tecnica scattante, Domenico Gibaldo, Massimiliano Rizzo e Giovanni Castelli, vigorosi e appassionati, insieme a Giacomo Castellana, talento in continua crescita che ci convince ancora una volta con un movimento ampio e potente. E poi, Annalisa Cianci e Jacopo Giarda, intensi e lirici nel pas de deux finale sulle note di Für Alina di Arvo Pärt: malinconico epilogo (in netto contrasto con le fiamme del Bolero), che tra i respiri quieti di una coppia chiude per sempre il sipario del mondo.
Chiude la serata l’immenso Artifact Suite di William Forsythe, versione contratta in due parti (la prima sulle note della Ciaccona, dalla Partita in re minore per violino solo di Johann Sebastian Bach e la seconda sulla partitura musicale di Eva Crossmann-Hech) dell’originale creazione a serata intera per il Balletto di Francoforte. Il segno del primo Forsythe qui esplode in un’architettura coreografica poderosa: un “balletto sul linguaggio del balletto” che si articola secondo piani spaziali e ritmici di millimetrica precisione. Delimitato ai lati e lungo il fondale da ventisei ballerini in fila, il palcoscenico diventa campo d’azione per due coppie in giallo, che sfidano le leggi dell’equilibrio e sconvolgono le simmetrie, tra incontri e nuove separazioni, inclinazioni pericolose e recupero del centro, aplomb in bilico e improvvisi campi di direzione. Protagonista, di nuovo, una brava Sara Loro, accompagnata dal sempre convincente Michele Satriano, solista della compagnia che nell’ultima stagione ci ha regalato eccellenti interpretazioni (in particolare, in Carmen di Roland Petit); e una seconda coppia composta dagli ottimi Federica Maine e Claudio Cocino. Al centro, una donna (Cristina Mirigliano), direttrice a piedi nudi di un’orchestra che pare suonare in eterno, anche oltre un sipario incostante che sonoramente cade al suolo e poi risale, tra le luci dorate di un mondo autodeterminato.
Nella seconda parte, il corpo di ballo in verde conquista progressivamente lo spazio scenico e nel trionfo coreografico forsythiano godiamo di una danza che cresce, si moltiplica e avanza senza mai perdere forma, struttura, coesione e ritmo. Molto buona l’esecuzione della compagnia romana in questo capolavoro della coreografia contemporanea, difficilissimo tecnicamente, stilisticamente e musicalmente; un pezzo che esalta il buono stato di salute dell’ensemble, visibilmente cresciuto nelle ultime stagioni e all’altezza della sfida interpretativa. Da segnalare, nella seconda parte di Artifact Suite, l’eccellente prova di Loick Pireaux, prestante ballerino che associa alla puntualità tecnica una naturale e caratteristica plasticità di movimento, accanto a magistrali equilibri e sospensioni. Bene anche Simone Agrò, giovanissimo danzatore che affronta con disinvoltura lo stile di Forsythe, favorito da tecnica solida e presenza scenica.
Uno spettacolo da vedere e da non perdere: ricco, ben interpretato e frutto di una programmazione intelligente. Buona l’accoglienza del pubblico romano, che ci auguriamo accorra numeroso alle ultime repliche del 20 e 21 marzo 2018. Lo spettacolo merita un sold out.
Lula Abicca
18/03/2018
Foto: 1.-3. Michele Satriano e Sara Loro in Artifact Suite di William Forsythe; 4. Claudio Cocino e Federica Maine in Artifact Suite di William Forsythe; 5. -8. Loïck Pireaux e Virginia Giovanetti in Artifact Suite di William Forsythe; 9.-13. Artifact Suite di William Forsythe; 14.-17. Petite Mort di Jiří Kylián; 18. Claudia Bailetti e Jacopo Giarda in Petite Mort di Jiří Kylián; 19. Virginia Giovannetti e Alessandro Casà in Petite Mort di Jiří Kylián, Opera Roma, ph. Yasuko Kageyama; 20.-21. Annalisa Cianci e Domenico Gibaldo in Petite Mort di Jiří Kylián, Opera Roma, ph. Yasuko Kageyama; 22.-25. Claudio Cocino e Susanna Salvi in Petite Mort di Jiří Kylián; 26.-28. Sara Loro e Marco Marangio in Petite Mort di Jiří Kylián; 29. Petite Mort di Jiří Kylián, Opera Roma, ph. Yasuko Kageyama; 30. Annalisa Cianci e Jacopo Giarda, Walking Mad di Johan Inger; 31.-32 Alessio Rezza, Walking Mad di Johan Inger; 33.-36. Eugenia Brezzi, Walking Mad di Johan Inger; 37. Eugenia Brezzi e Domenico Gibaldo, Walking Mad di Johan Inger; 38.-40. Walking Mad di Johan Inger, Opera Roma; 41. Annalisa Cianci e Jacopo Giarda, Walking Mad di Johan Inger; 42. Walking Mad di Johan Inger. Opera Roma. Foto di Yasuko Kageyama.