La recensione

Il Lago dei cigni di Christopher Wheeldon. Al Teatro dell’Opera di Roma una versione Belle Époque.

E’ una versione in punta di piedi tra Degas e Toulouse-Lautrec il Lago dei cigni in scena all’Opera di Roma fino al 5 novembre 2016. Riscrittura giovanile di Christopher Wheeldon, il balletto si articola tra sogno e realtà, sala prove e Cafè Chantant fin de siècle. Con una tecnica classica molto british l’acclamato coreografo inglese riscrive i personaggi mantenendo gli snodi narrativi e chiude con un inedito e riuscito lieto fine che svela il senso di questa versione del balletto. Protagonisti della prima due Principals del Royal Ballet, Federico Bonelli e Lauren Cuthbertson, e il Corpo di ballo dell’Opera di Roma che colleziona un altro importante tassello nel suo percorso di crescita.

E’ certamente una rilettura nel segno del balletto classico il Lago dei Cigni di Christopher Wheeldon che ha debuttato ieri al Teatro dell’Opera di Roma e in scena al Costanzi fino al 5 novembre 2016 per 14 recite complessive. Ma non è un Lago tradizionale. Se infatti vi aspettate candide fanciulle cigno che si muovono al chiaro di luna sulla riva di lago all’ombra di un castello medioevale, rimarrete delusi. Christopher Wheeldon cambia ambientazioni e riferimenti, articola l’azione tra mondo reale e sogno, mantiene gli snodi narrativi del libretto di Petipa ma reinterpreta i personaggi, riscrive la storia cambiando l’epilogo. Il tutto con un gusto decisamente british, senza troppi psicologismi o significati reconditi.

La nuova ambientazione si coglie già in apertura di sipario. Non la sontuosa sala medioevale del castello del principe Siegfried, ma una sala prove dove una dopo l’altra entrano ballerine à la Degas che con grazia e voluta morbidezza, si scaldano e provano passi nei loro vaporosi tutù bianchi al ginocchio, davanti ad un mastodontico specchio nell’attesa dell’arrivo del Maestro.

Il riferimento a Degas era stato già annunciato e spiegato dallo stesso Christopher Wheeldon in sede di conferenza stampa: nel 2004, cercando una nuova chiave di lettura per il balletto commissionato dal Pennsylvania Ballet si è imbattuto in una mostra di Degas. Da lì l’ispirazione di ambientare il balletto in una sala prove fine Ottocento che ricorda i quadri del pittore francese, dipinti nello stesso periodo in cui Čajkovskij componeva il Lago dei Cigni. Forzatura spazio temporale? Forse ma il quadro di apertura è garbato, ci lasciamo andare alla fantasia, entriamo nella realtà di questa sala prove parigina dai colori pastello senza porci troppe domande e seguiamo l’ingresso dei personaggi.

Il Maître de ballet, un maldestro e improbabile individuo che ricorda, come fosse una vera citazione, i tanti personaggi comici e caricaturali di Frederick Ashton (un omaggio questo al celebre coreografo inglese che assieme a MacMillan hanno segnato la formazione di Wheeldon al Royal Ballet? Di sicuro non è il severo maestro ritratto nel quadro La classe di danza di Degas). Un oscuro e glaciale mecenate in cilindro e nera marsina, più simile agli inquietanti dandy ritratti da Toulouse-Lautrec che agli aristocratici che fanno capolino in alcuni quadri di Degas. E i ballerini, uomini e donne, che si lanciano subito nelle prove del balletto, interpretando lunghe sequenze che non si svolgono di fronte al pubblico in platea ma di sbieco, ossia con un fronte orientato verso l’oscuro mecenate seduto ad angolo del proscenio, un’angolatura questa che espressamente rimanda agli scorci inusuali di alcuni quadri di Degas.

Che si stia provando proprio il Lago dei Cigni si coglie in modo chiaro dall’ingresso di alcune borghesi che si rivelano essere le interpreti dei ruoli della madre del principe Siegfried e il seguito di cortigiane. Con mimica chiara e precisa, e senza troppe cerimonie, la Regina madre regala al figlio la balestra e gli intima di prendere moglie com’è suo dovere.

In tutto questo primo atto la realtà della sala danza, tranche de vie resa con atteggiamenti spontanei, si mescola con la prova del balletto tra scene di gruppo, brindisi e un pas de trois eseguito con grazia da Susanna Salvi, Rebecca Bianchi e Alessio Rezza. Già in queste scene si coglie la cifra stilistica impressa da Wheeldon a tutto balletto: nessuna ostentazione di virtuosismo gratuito, gambe non particolarmente alte, giri contenuti e chiusure sicure, salti non esagerati ma precisi, braccia dalle linee allungate… in sostanza vera scuola inglese, misurata e pulita, uno stile che il Corpo di ballo dell’Opera di Roma esegue con rigore.

La prova finisce, i ballerini vanno a casa e in sala prove rimane solo il Primo ballerino che immerso nel suo personaggio si perde nella fantasia e ci conduce nella fiaba. Appare Odette, Regina dei cigni che racconta al principe Sigfried, con mimica anche qui chiara e tradizionale, di essere stata imprigionata dal cattivo mago Rothbart e che solo un uomo, giurandole amore eterno, potrà liberarla ridandole sembianze umane. Appaiono i cigni tenuti al guinzaglio da fili invisibili dal perfido mago Rothbart che altri non è che il mecenate in tuba e marsina, qui trasformato in volgare aguzzino. Siamo in un sogno ma manca la magia. L’azione si muove tra le opprimenti pareti della sala danza e il corpo di ballo sembra stretto tra queste mura. Manca il lago, il bosco, la bruma che rende irreale la scena notturna e aspettiamo invano per tutto l’atto che le incombenti pareti della sala scompaiano regalandoci l’incanto della favola. Anche le luci non aiutano a condurci nella magia della fiaba e non ci suggeriscono i colori e l’atmosfera che hanno ispirato le note di Čajkovskij.

In tutto questo secondo atto, legato al primo senza pause, Wheeldon rimaneggia in modo originale il materiale coreografico di Lev Ivanov. Ci sono le diagonali e gli schemi a V che ricordano la formazione in stormo degli uccelli in volo, le braccia che diventano ali ma senza quella sinuosità e senza quella meravigliosa apertura di spalle e scapole a cui ci ha abituato il Teatro Mariinsky e le étoile russe di ultima generazione. Il gusto, anche qui, è decisamente british e ricorda le esibizioni anni Sessanta di Margot Fonteyn e del Royal Ballet. Per spiegare meglio i riferimenti e le differenze di stile guardate i seguenti video.

In questo secondo atto i cigni del corpo di ballo, pulito nelle linee e nell’assieme nonostante il poco spazio, amplifica l’azione dei protagonisti inserendosi come coro anche nel passo a due. Come già nel primo atto il virtuosismo tecnico è complesso e nascosto. Insidie sono anche nei continui cambi di direzione inseriti negli articolati movimenti del gruppo, un gioco questo che ricorda la versione classica ma che in realtà è tutt’altro. Per nulla più semplice. Anzi. Molto, molto più complesso.

Non so se è un effetto voluto ma mentre Federico Bonelli, nel ruolo del principe è un crescendo di emozioni e assistiamo alla sua meravigliosa trasformazione da ballerino a meraviglioso principe tormentato, Lauren Cuthbertson ci appare sicura interprete ma non certamente languido e timido cigno.  La sua interpretazione di Odette è precisa e misurata ma manca forse di anima.

L’impressionismo vaporoso alla Degas cede il posto nel terzo atto a un Cafè Chantant Belle Époque preso in prestito da Toulouse-Lautrec, illustratore della vie moderne baudelariana che ha sempre considerato Degas suo maestro ideale. Uomini con baffi e marsina, donne alto borghesi e cocottes irrompono nel locale portando con sé l’ebbrezza effimera delle follie notturne parigine. Questa chiassosità sgargiante sostituisce, nella versione di Wheeldon, la tradizionale e sontuosa festa al castello del principe e l’idea potrebbe anche funzionare se non fosse che i numeri da cabaret, che dovrebbero sostituire le danze degli ospiti della versione originale del balletto, mancano di verve, brio e slancio.

Il pas de quatre di apertura è un bell’esercizio di stile. Complesso tecnicamente, ben eseguito da Giovanna Pisani, Susanna Salvi, Claudio Cocino e Giuseppe Depalo, potrebbe però figurare in qualsiasi altro balletto. I quattro, con costumi a righe che ricordano la Goulue del Ballo al Moulin Rouge di Lautrec, eseguono passi a due e variazioni con una tecnica classica molto british e fin troppo misurata, ben lontana dalla volgare eccentricità caricaturale della citazione e dell’ambientazione.

A seguire la danza russa, magistralmente interpretata da Alessandra Amato, sensuale il giusto, sicura negli aplomb, un assolo il suo che scatena la bramosia dei dandy che affollano il locale e che la spogliano dei veli. Quest’assolo – spiega il coreografo – si ispira a un’esibizione di una principessa russa che eseguiva un numero di striptease alle Folies Bergère. Ed è forse, in questa riscrittura e in questo contesto, l’unico numero veramente azzeccato.

Il kitsch e la fatuità di Montmartre viene introdotta dal mecenate-Rothbart che introduce i nuovi numeri: una coppia spagnola e poi una ungherese insipide e banali, e un can can anch’esso dal sapore sbiadito.

La sensualità sfrontata e aggressiva non arriva neppure con l’ingresso del cigno nero che tuttavia solleva le sorti di quest’atto, scatenando gli applausi del pubblico, con il tradizionale pas de deux, coronato da variazioni e coda con i canonici fouettés e virtuosismi vari. Magistrale l’esecuzione di Federico Bonelli, splendido e leggero principe dai salti volati. Sicura tecnicamente, ma sempre misurata anche nell’interpretazione di Odile, Lauren Cuthbertson, musa ispiratrice di Christopher Wheeldon che ha creato per lei ruoli principali in due suoi capolavori, Alice in Alice’s Adventurein Wonderland e il ruolo di Hermione in The Winter’s Tale. Il pubblico, soddisfatto, applaude gli interpreti ma il pensiero, nel secondo intervallo va all’interpretazione del cigno nero selvaggiamente ammaliante di tante étoile tra cui Maya Plisetskaya e Natalia Makarova.

Il balletto si riscatta nell’ultimo atto solitamente quello più problematico in tutte le versione classiche. Sigfried disperato chiede perdono all’amata Odette. Rothbart – un ottimo e carismatico Manuel Paruccini – cerca di separare gli innamorati ma soccombe per mano dei cigni che gli si rivoltano contro. L’incantesimo non può più essere più essere spezzato. Odette e i cigni con le luci dell’alba si dissolvono lasciando il principe solo e disperato. Se a questo punto sembra che la conclusione somigli forse un poco troppo all’epilogo di Giselle, il risveglio del principe dal sogno e l’ingresso in sala prove della ballerina regalano in chiusura di sipario un riuscito e nuovo lieto fine.

Quest’ultimo atto e il suo finale dà a tutta la riscrittura di questo balletto un suo perché. E’ stato tutto un sogno, una fantasia onirica di un ballerino fin de siècle, un ruolo che Federico Bonelli interpreta con un mirabile crescendo interpretativo. E’ lui il vero protagonista della storia e non Odette/Odile. La donna cigno, bianca e nera, è una semplice ballerina di fila, ed è la donna che lui ama e che tenta di difendere dall’oscuro mecenate, un viveur sicuro di sé, forse amante delle ballerine, ancor più che del balletto, spietata e intramontabile figura di uccello predatore che ieri come oggi pensa di poter comprare tutto, anche l’amore, con la potenza del denaro. Ma l’amore, come detto, trionfa, e trionfa con un coup de theatre appropriato, senza dover ricorrere ai grotteschi espedienti delle versioni sovietiche che hanno sostituito l’originario tragico finale.

Il Lago dei cigni di Christopher Wheeldon, uno dei pochi, pochissimi giovani autori contemporanei che hanno il dono di saper raccontare storie e favole sulle punte, si inserisce come gemma preziosa nel lavoro certosino di crescita del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. I ballerini in questo ultimo anno si sono già confrontati con la complessa versione di Giselle della Ruanne, con la fisicità estrema di Forsythe e con la cifra adamantina di Balanchine.  Hanno assaggiato la riscrittura dei classici di Peparini e di Nureyev e ora hanno avuto modo di misurarsi con una versione di un classico del repertorio dal chiaro sapore british. Questo Lago dei cigni, dunque, oltre ad essere una fiaba adatta a grandi e piccini, segna anche un nuovo e prezioso tassello nell’evoluzione del giovane e promettente Corpo di ballo romano guidato con mano sicura da Eleonora Abbagnato, che con questa scelta ricorda ai ballerini e al pubblico che gli stili della danza classica sono tanti e che sono facce diverse di uno stesso meraviglioso diamante.

Francesca Bernabini

29/09/2016

 

La recensione si riferisce alla recita del 27 settembre 2016.

Foto: 1. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph. Jean-Charles Verchère; 2.-5. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph. Yasuko Kageyama, Teatro Opera Roma; 6. Lauren Cuthbertson, ph. Jean-Charles Verchère; 7.-8. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph. Jean-Charles Verchère; 9. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph. Yasuko Kageyama, Teatro Opera Roma; 10. Federico Bonelli e Laurent Cuthbertson, Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph.  Yasuko Kageyama, Opera Roma; 11.-12. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon, ph Jean-Charles Verchère; 13. Eleonora Abbagnato, Federico Bonelli, Laurent Cuthbertson e il Corpo di ballo dell’Opera Roma, ph. Yasuko Kageyama.

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