La recensione

I flex dancers della Flex Community di New York al Napoli Teatro Festival Italia. Dai sobborghi di Brooklyn al palcoscenico con FLEXN di Peter Sellars e Reggie Gray, alias Regg Roc.

Al Napoli Teatro Festiva Italia è andato in scena FLEXN della Flex Community di New York, compagnia diretta dal pioniere della danza flex Reggi Gray (Regg Roc). Lo stile flex rientra nella categoria della street dance, nasce e si sviluppa fra i quartieri malfamati di Brooklyn. Contaminato da diversi stili di danza e suggestioni giamaicane, ideato dal coreografo afro-americano insieme al regista teatrale Peter Sellars è un manifesto di protesta contro il sistema sociale statunitense, una lettura dell'America come terra di discriminazione ed ingiustizie razziali.

Il programma della nona edizione del Napoli Teatro Festiva Italia, che prevede un totale di 45 spettacoli estesi su territorio campano, nonostante quest’anno sia meno nutrito di danza rispetto alle passate edizioni, pone lo sguardo oltre l’Eurasia giungendo ad occidente, interessandosi alle tendenze urbane provenienti dal continente americano.

Il 2 ed il 3 luglio 2016 è infatti andato in scena al Teatro Augusteo di Napoli lo spettacolo Flexn, per la regia di Peter Sellars e Reggie Gray, quest’ultimo meglio conosciuto come Regg Roc, coreografo  pioniere della danza flex, un tipo di danza che dal 2015 sta spopolando negli Stati Uniti e che nasce e si sviluppa come forma di cultura appartenente alla comunità nera di East New York, quartiere residenziale di Brooklyn.

Flexn trasporta sul palcoscenico una fetta del lato più grigio di New York,  carico di forti energie tali da toccare profondamente il pubblico, capace di commuovere e divertire al tempo stesso, di suscitare rabbia e sdegno per le crude realtà che vi sono raccontate.

Lo spettacolo ha debuttato nel marzo del 2015 a New York all’interno del Park Avenue Armony Drill Hall. In scena una compagine di 15 ballerini, i flex dancers della Flex Community di New York City, impegnati in una performance di improvvisazioni e virtuosismi di carattere sia collettivo che individuale, su una varietà di sound che spazia dall’ R’n’b al Pop, il tutto contornato da una scultura di luci sul fondo, vero e proprio “tetris” di barre luminose disegnato da Ben Zamora.

La danza flex è un fenomeno recente, che dilaga in America tra il 2009 ed il 2011 anni in cui arriva sugli schermi grazie al popolare reality contest America’s Best Dance Crew e alla web serie The Legion of Extraordinary Dancers.

Nonostante sia frutto delle creazioni dei singoli danzatori, la pièce diretta dal coreografo di Brooklyn è espressione del corpo allo stato puro, introduce un tipo di linguaggio post-moderno in grado di narrare le crepe e i disagi sociali delle condizioni di vita della popolazione afroamericana nei sobborghi newyorkesi; grido di protesta dai toni autobiografici, performance di ribellione contro la guerra fra classi e l’ingiustizia razziale, è un vero e proprio manifesto di protesta nei confronti degli abusi di potere e della violenza gratuita.

La prima scintilla che ha portato alla realizzazione di Flexn, è stata l’uccisione di Trayvon Martin nel 2012, uno studente di 17 anni colpito a morte da George Zimmerman, coordinatore di vigilanza di un quartiere di Sanford in Florida, rilasciato dalle autorità per mancanza di prove confutabili l’azione di legittima difesa.

Reggie Roc Gray e i suoi compagni in seguito all’episodio girarono un video intitolato Dance for Justice, facendo del flexing un’arma di dissenso votata a smantellare il muro della discriminazione.

Come lo stesso Reggie afferma «l’arte deve stimolare l’immaginazione e guardare verso orizzonti migliori, semplificando argomenti complessi e problemi della vita in maniera più efficace di qualsiasi insegnate, politico o sacerdote».

Nel 2014 dopo altri due casi di cronaca simili, rispettivamente la morte di Eric Garner e di Michael Brown entrambi cittadini afro-americani uccisi da poliziotti bianchi,  Reggie Gray insieme a Peter Sellars muovono il proprio lavoro in direzione di un teatro fisico che metta in luce il vivere quotidiano della comunità nera e la brutalità della polizia, indagando sugli stati d’animo dei singoli danzatori in relazione a tali eventi.

Ne risulta un pezzo spettacolare, provocatorio, totale, un pubblico messaggio sia politico che umano.

Alcuni dei momenti più poetici dello spettacolo sono proprio quelli riguardanti storie di assassinii e di criminalità, in cui spesso si ritrovano a perdere la vita persone innocenti o giovani che avevano ancora possibilità di riscatto.

Di enorme impatto è l’azione che si svolge sulle note di My Immortal degli Evanescence, quando un poliziotto tenta di rianimare il corpo di un ragazzo rimasto ucciso in una rissa tra clan: l’uomo continua ad eseguire le manovre di soccorso sul pavimento mentre il ragazzo si rialza e danza come se fosse la propria anima, vicino ai suoi cari che lo piangono. Una scena degna di Ghost insomma.

Da menzionare anche il quadro finale, che richiama gli ambienti del carcere ─ ed in questo è di aiuto alla comprensione la disposizione verticale delle barre luminose sul fondo ─ in cui tutti sono seduti a terra avvolti da una luce fredda e a turno danzano in piedi una piccola biografia illuminati da un cono di luce bianca.

La bravura degli interpreti nel parlare coi gesti e col volto è indiscussa, i loro corpi trasmettono un vissuto drammatico. Mimica e presenza scenica sono elementi fondamentali del flexing o Bone Breaking, come viene chiamato per alcuni movimenti che simulano la rottura delle ossa.

E’ uno stile eccentrico, contraddistinto da estremi giochi articolari del cingolo scapolare, da flessioni, backflip e contorsioni che raggiungono livelli circensi, in cui pause, gliding, waving, floor moves e tutting (posizioni geometriche delle braccia che imitano le antiche figure egizie quali King Tut, nomignolo di Tutankhamen) si eseguono spesso a torso nudo alternati a cappelli che roteano sui gomiti a mo’ di giocoliere.

E’ noto che New York detiene da sempre il primato in fatto di culture underground e tendenze rivoluzionarie; in quanto città globale è il risultato di contaminazioni differenti e multiculturali, molti delle quali toccano la sfera della danza: si pensi che oltre ad essere patria della modern dance, è la capitale del breacking o breack dance, una pratica caposaldo della cultura hip- hop, la quale prende vita negli anni Settanta ed Ottanta fra i gruppi di teenagers del South Bronx, nel periodo successivo alle guerre territoriali fra gang.

Non stupisce allora che il flexing sia il prodotto di una commistione di influenze tecniche e stilistiche. E’ vero che non appartiene propriamente alla cultura hip-hop,  ma incorpora molti passi estratti dal popping/animation (uno stile che riproduce la stop-motion utilizzata nei film di animazione), ma certamente rientra nella categoria della street dance, ossia quell’insieme di discipline basate sulle sessioni di jam (esibizioni libere) e sull’interazione tra spettatore e ballerini, evolutisi al di fuori delle tradizionali scuole di ballo in contesti metropolitani o suburbani, in spazi aperti e luoghi di socializzazione quali strade, cortili scolastici, parchi, locali notturni e rave party.

Il genere flex in realtà affonda le proprie radici nel Bruk-Up giamaicano, un ballo free-style praticato sui riddim (ritmi) della musica reggae e dancehall, che prende il nome d’arte del suo iniziatore, George Adams, un rapper e performer di Kingston noto negli anni Novanta per il suo movimento inimitabile e per aver lavorato con artisti quali Wyclef, Patra e Busta Rhymes.

Negli ultimi tre anni il flexing ha navigato sempre più oltreoceano, approdando in Europa e conquistando le nuove generazioni di street dancer, grazie soprattutto a YouTube e ai diversi social network, i quali diffondono innumerevoli video di jam ed impressionanti tutorial per esercitarsi. Un caso questo che avvenne già con il breacking negli anni Novanta, quando le pellicole di Hollywood ispirarono quelli che oggi sono considerati i b-boy e le b-girl della old-school.

E’ naturale quindi che lo stile si stia distaccando sempre più dal contesto di origine per diventare un valido strumento di comunicazione oltre che una forma d’arte a tutti gli effetti tanto da attirare l’attenzione dei registi Michael Beach Nichols e Deidre Schoo, i quali hanno creato un film documentario sullo stile di vita dei flexers dal titolo Flex is Kings, selezionato nel 2013 per importanti festival cinematografici quali il Tribeca Film Festival, il Berkshire International Film Festival ed il GIFF – Guanajuato International Film Festival.

Di seguito il teaser ufficiale del film.

 

Tutto ciò ha permesso alla Flex Community di uscire dalle vie degradate di East New York, rivendicare ed urlare le proprie opinioni e diritti, partecipando ad eventi culturali in tutti il mondo, come è accaduto al Manchester International Festival, al Napoli Teatro Festival ed accadrà il prossimo agosto quando Flexn salirà sul prestigioso palco del Ted Shawn Theatre, nell’ambito del Jacob’s Pillow Festival.

Andrea Arionte

06/07/2016

 

Foto: Flex Community di New York in FLEXN di Peter Sellars e Reggie Gray, Napoli Teatro Festival Italia, ph. Salvatore Pastore.

Scrivi il tuo commento

design THE CLOCKSMITHS . development DEHLIC . cookie policy