eVolution dance theater: fusione innovativa di danza, acrobazia, arte e illusione che incanta tutti.
eVolution dance theater è la compagnia di Anthony Heinl che regala al suo pubblico esperienze di fruizione uniche. Ogni spettacolo è un’esperienza complessa: trasporta il suo pubblico nel sogno e nella magia. Nadessja Casavecchia, direttore associato della compagnia, ci racconta come nascono questi spettacoli. La compagnia, con base in Italia, è attualmente in tour con Night Garden.
Innovare, stupire, coinvolgere e raccontare, senza mai essere ripetitivi o scontati. Ecco il mix esplosivo che entra in scena negli spettacoli della eVolution dance theater. Compagnia dalla personalità dirompente, viene fondata nel 2008 dall’artista statunitense Anthony Heinl, che vanta una lunga esperienza nei Momix. Le loro performance godono di successo internazionale e regalano al pubblico esperienze di fruizione uniche, fondendo danza, acrobazia, arte, illusionismo e tecnologia. Una sorta di “blacklight theater” rivisitato e sicuramente più attuale, che si realizza attraverso la ricerca e lo studio di materiali innovativi, senza trascurare attenzione e cura verso il movimento.
Ciò che colpisce nei lavori della eVolution dance theater è anche l’uso di una innovazione realizzata “artigianalmente”, nella accezione più nobile del termine. Accanto all’uso di software tecnologici, infatti, e del digitale troviamo materiali classici, oggetti e strumenti rivisitati (quali stoffe, ruote, ecc.) che acquistano così un diverso significato in scena, generando bellezza e partecipazione.
Night Garden è l’attuale spettacolo della compagnia che sta incantando il pubblico di ogni età: un giardino di luce riempie ogni volta di magia i teatri, trasportando i loro spettatori nel sogno e nella meraviglia.
E dopo aver assistito ad uno di questi spettacoli, tante curiosità mi spingono a una piacevole chiacchierata con Nadessja Casavecchia, direttore associato, assistente e danzatrice stessa della compagnia.
Nadessja, i vostri spettacoli sono fantasticamente complessi. Immagino una progettazione precisa, che nasce dapprima a tavolino, considerando l’effetto da produrre sul palcoscenico e combinando sapientemente il giusto mix di variabili. Come avviene il processo produttivo, quanto è influenzato dalla successiva modulazione in scena, fino a ottenere i risultati desiderati?
Una parte della progettazione di sicuro avviene a tavolino. Soprattutto a livello pratico, ci sono alcuni fattori standard da tener presente quando iniziamo il processo di creazione: sappiamo già dall’inizio che la performance deve basarsi su 8 danzatori e 3 tecnici. Abbiamo inoltre limitazioni di spazio di cui tener conto, per rientrare in quasi tutti i teatri italiani e internazionali. Sono elementi di conoscenza man mano acquisiti durante gli anni di esperienza della compagnia, e garantiscono la replicabilità di uno spettacolo che viaggia in tournée sempre in posti diversi.
Quindi ogni singola pièce di cui si avvale lo spettacolo, ogni composizione, nasce principalmente da un’idea di Anthony Heinl che può avvenire tramite un’ispirazione visuale o musicale, portata poi in sala prove e condivisa con tutti i danzatori. Da lì poi il processo creativo prosegue, con una sorta di sperimentazione.
Quindi un lavoro corale, a più voci?
Sì, assolutamente fatta assieme ai membri della compagnia. Anthony presenta la sua visione e sperimenta con i danzatori per vedere l’approccio personale a questa idea, osservando di ciascuno la reazione. Come avrai capito dallo spettacolo a cui hai assistito, la compagnia gode di molteplici background artistici: si spazia dalla break dance, all’ hip hop, molti hanno una forte formazione in danza classica e contemporanea, fino alla ginnastica artistica, e via dicendo. La cosa interessante è proprio capire come questi elementi differenti si orientano verso la stessa idea.
A questo punto, assieme all’altissima preparazione atletica e tecnica dei performer (peraltro molto evidente nei vostri spettacoli) credo sia importante la loro sensibilità all’innovazione e alla sperimentazione. In sostanza il mettersi in gioco…
Assolutamente sì, è la priorità numero uno… Per noi è molto più importante una mente creativa e aperta alla sperimentazione, piuttosto che una bravura tecnica. È importante che i nostri danzatori siano anche un po’ “bambini” (nel senso più puro del termine) nell’affrontare nuovi giochi, che abbiano interesse e allo stesso tempo la pazienza, perché la sperimentazione non è solo puro divertimento ma può essere anche frustrazione, quando si fa fatica per arrivare a certi risultati. Quindi sicuramente ballerini perseveranti, creativi, che abbiano voglia di mettersi in gioco.
In alcune performance gli interpreti realizzano effetti visivi generando con il loro stesso movimento forme assolutamente perfette, spesso disegnandole “a mano libera”.
Sì, sono “disegni” creati dalla stessa sensibilità del performer. Nella composizione ci atteniamo sicuramente a uno script predefinito, ma usiamo soltanto storyline generici, che indicano come sviluppare la performance, poi ognuno si esprime su quanto vuole raffigurare in base alla propria sensibilità artistica, mettendoci del proprio e scegliendo disegni e figure da rappresentare.
Quanto dura in media la preparazione di un vostro spettacolo?
Circa un paio d’anni, complessivamente. La preparazione riguarda però varie fasi. La primissima “embrionale” riguarda idee e primi script che io ed Anthony facciamo a casa; già da adesso ad esempio – mentre è in scena Night Garden – stiamo lavorando a idee che riguardano il prossimo nuovo spettacolo. Quindi di seguito, nel concreto e in sala prove, abbiamo periodi di creazione che definiamo “più aperti” e che durano due/tre mesi, a cui si aggiungono anche le parti fatte insieme ai danzatori (come prima accennato). Il lavoro si chiude poi successivamente in tre quattro mesi intensi. Dobbiamo entrare in sala prove già con delle idee fattibili e precise su cui lavorare, poi lentamente lo spettacolo prende forma nel corso degli anni.
La maggior parte delle performance che avvengono durante lo spettacolo si realizzano prevalentemente al buio, con ballerini che appaiono soltanto attraverso le loro bellissime sagome contornate. Non si vede così l’espressione del volto. Che competenze sono richieste a un danzatore che, dal punto di vista interpretativo, deve affidare l’espressività ad elementi che non comprendono affatto la mimica facciale, lo sguardo, il sorriso, ecc?
In un certo senso richiediamo al performer di non essere troppo egocentrico, perché comunque spesso, per il tipo di performance, non possiamo vedere il suo volto. Questa cosa non è sempre ben vista e accettata da tutti, abbiamo perso diversi elementi nel corso delle stagioni anche a seguito di questo. Molti non lo hanno trovato appropriato o giusto. Noi però non facciamo spettacoli con l’intenzione di mostrare quello che sappiamo fare e sentirci realizzati come danzatori. Vogliamo soprattutto essere a servizio di una macchina scenica, una logica in cui non prevale il singolo ma l’insieme, in cui è importantissima la collaborazione e il senso di gruppo. Vogliamo così esprimerci in primis con i movimenti del corpo, quindi con le diverse intensità delle dinamiche…è richiesto al danzatore di comunicare in maniera differente, trasmettere al pubblico anche oggetti che non hanno un’anima. Il performer deve perciò a volte mettere la propria danza dentro un oggetto. Questo stesso oggetto che a volte vedi volare, è maneggiato da un ballerino e come tale presenta un valore aggiunto, piuttosto che se lo vedessi mosso da un tecnico: in quest’ultimo caso infatti il movimento risulterebbe “di servizio” senza l’effetto artistico a cui tendiamo. La capacità è proprio questa: animare degli oggetti che non hanno un’anima ponendo in essi la propria danza.
I vostri spettacoli raccolgono un pubblico molto eterogeneo, di tutte le età: quanto è importante un’arte accessibile, immediata, che “arriva” a tutti direttamente?
Abbiamo la fortuna di coinvolgere un pubblico molto vasto e che non frequenta solo la danza. Quello che cerchiamo di fare, con i nostri spettacoli, è anche avvicinare a questo mondo chi non lo conosce o non lo frequenta. Crediamo così di poter fare da “ponte”, creando un collegamento anche con queste persone; sicuramente il fatto che ci sia della magia e della creatività nei nostri spettacoli avvicina un po’ tutti. È come tornare bambini se non lo si è già, ritornare a quella creatività genuina e priva di vincoli perduta da piccoli.
È importante portare a teatro tutti, il nostro impegno a livello culturale è comunque rendere l’arte accessibile, il che non vuol dire creare delle opere banali o semplici. I nostri lavori sono ricchi di elementi e caratterizzati da diversi livelli di lettura: di sicuro il primo impatto è provare piacere ad assistere, quindi poi ci sono i livelli della drammaturgia, della composizione coreografica, dell’innovazione, ecc. che si intersecano gli uni con gli altri, si mescolano con le proprie sfumature, dando vita a qualcosa di unico.
Night Garden è ancora in scena con le ultime date italiane del tour: il 9 giugno sarà a Courmayeur, il 21 giugno al Teatro Cantero di Chiavari e sabato 15 luglio ad Ala, in Trentino, per la ventesima edizione di Ala Città di Velluto. Il tour riprende a settembre in Germania, toccherà la Cina a ottobre e si concluderà il 24 novembre 2017 in Svizzera.
Giannarita Martino
Twitter @Giannarita
Foto: eVolution dance theater, Night Garden di Anthony Heinl e Nadessja Casavecchia, foto di Stefano Pavani, Massimiliano Fusco, I. Sansoni.