La recensione

Dancing Days REf17: nuove tendenze con INFLUENZA di Floor Robert/InQuanto Teatro, Kudoku di Daniele Ninarello e Dan Kinzelman, Bolero di Jesús Rubio Gamo

Dal 2 al 4 novembre gli spazi de La Pelanda di Roma hanno ospitato i Dancing days, rassegna di Romaeuropa Festival 2017 dedicata al movimento e alle nuove tendenze europee nell’ambito coreografico. Giornata intensissima il 3 novembre con gli spettacoli INFLUENZA di Floor Robert, Kudoku di Daniele Ninarello e Dan Kinzelman, Bolero di Jesús Rubio Gamo.

Dal 2 al 4 novembre 2017 gli spazi de La Pelanda di Roma hanno ospitato i Dancing days, rassegna di Romaeuropa Festival 2017 dedicata al movimento e alle nuove tendenze europee nell’ambito coreografico, dopo l’anteprima di Benvenuto Umano di CollettivO CineticO. La sezione del festival curata da Francesca Manica ha voluto concentrarsi sul rapporto con la musica, quale terreno di confronto tra artisti e allo stesso tempo strumento di connessione emotiva e sensoriale con il pubblico. Una tre giorni di spettacoli provenienti da 8 compagnie di 5 diversi paesi: Italia, Ungheria, Olanda, Spagna, Portogallo.

La giornata del 3 novembre 2017 è risultata intensissima per stimoli e contenuti provenienti dai tre spettacoli in programma: INFLUENZA di Floor Robert/InQuanto Teatro, Kudoku di Daniele Ninarello e Dan Kinzelman, Bolero di Jesús Rubio Gamo.

“Non siamo liberi. Siamo chiusi dentro il nostro corpo. Siamo legati alla nostra storia. Siamo inevitabilmente parte del passato. Portiamo dentro di noi cose che non ci sono più. Accettiamo questo. Ma rimane la possibilità di andare e venire tra ciò che è vero e ciò che è fantasia. Quanto possiamo essere influenzati da questo?”. È la domanda da cui parte Floor Robert, coreografa olandese in Italia dal 2002, per realizzare INFLUENZA con il suo collettivo InQuanto teatro, assieme al danzatore Francesco Michele Laterza e all’attore Giacomo Bogani. Uno spettacolo già finalista al concorso DNA – Appunti coreografici 2015 del Romaeuropa Festival e vincitore del bando SIAE – Sillumina, dedicato alle compagnie under 35.

Suggestioni, memorie di eventi reali e situazioni immaginarie, angosce, desideri trascorsi e ancora vivi nel tempo vengono riattraversati e raffigurati mediante corpo e voce. Sono racconti di storie ora accennate, ora esplorate, ora allontanate perché fanno paura. Attraverso un cammino poetico che si svolge addentrandosi in un dedalo onirico, si passa da una porta all’altra per vedere quello che non esiste ma che comunque continua a influenzarci. Ed è forte il desiderio di radicamento in una storia che attraversa il tempo e che viene sfogliata come si fa con le pagine di un giornale. Allo spettatore, a volte disorientato, risulta a tratti arduo districarsi tra i pensieri e le figure animate che si susseguono in scena. Sono oggetti, animali, persone: si alternano, dialogano, interagiscono, mentre palloncini verdi tracciano un sentiero emotivo che pare fatto apposta per pungolare le parti più nascoste del proprio inconscio e passato.

Il passaggio agli spettacoli successivi, previsti in questo secondo Dancing Day avviene mediante un registro narrativo completamente differente: Kudoku e Bolero trascinano il pubblico di REf17 nell’impeto della loro rappresentazione. Le due opere sono accomunate dal riferimento al circuito Aerowaves, network che coinvolge 33 paesi in Europa per supportare e promuovere i nuovi coreografi emergenti.

Kudoku è una ricerca sperimentale, un incontro tra due mondi che si esplorano a vicenda, sconfinando l’uno nell’altro. In questa opera il coreografo danzatore Daniele Ninarello (formatosi presso la Rotterdam Dance Academy e in scena con artisti del calibro di Virgilio Sieni e Sidi Larbi Cherkaoui) e il compositore polistrumentista Dan Kinzelman (jazzista tra i più conosciuti che vanta collaborazioni con nomi come Enrico Rava e Giovanni Guidi) indagano sulla relazione musica-movimento. Alla continua scoperta di cosa orienta il corpo nel suo avanzare, i due artisti portano avanti un dialogo incessante fatto di composizioni coreografiche e paesaggi sonori. Una collaborazione, quella tra Ninarello e Kinzelman, sostenuta dalla coproduzione Codeduomo – NovaraJazz e che riceve il suo battesimo già nel giugno 2016 alla Biennale Danza di Venezia.

Kudoku è un termine che fa riferimento alla meditazione buddista e comprende i benefici ricavati da una pratica prolungata; un obiettivo investigato dalla coreografia di Daniele Ninarello alla ricerca di quella reiterazione che fa ampliare la percezione dei confini corporei e che rende il movimento un tutt’uno con l’ambiente in cui è posto. Nella semi-luce della scena riusciamo a scorgere nitidamente una vera e propria simbiosi tra i moti del corpo e le sonorità provenienti da sax, voce, elettronica e campionamenti, fino a non riuscire più distinguere chi provoca che cosa. È il movimento che segue la musica o viceversa? Le varie direzioni dello spazio appaiono ora esplorate senza soluzione di continuità, così come le gradazioni di intensità forza-leggerezza divengono più labili nei confini. È un mantra, la cui ripetizione si trasfigura attraverso corpo e suoni per acquietare le minacce e le ferite provenienti dal proprio vissuto personale. Perfomer e pubblico arrivano così ad una lucida fusione globale che si conclude in una magnetica danza roteante da derviscio: veniamo accompagnati per mano, dolcemente, lungo le nostre strade verticali.

Il programma del 3 novembre si chiude infine con il Bolero del madrileno Jesús Rubio Gamo, interpretato da Clara Pampyn e Alberto Alonso. Improvvisamente mi rendo conto di nutrire aspettative pregiudiziali nei confronti di questo lavoro: come il 90% del pubblico in sala credo sia arduo risultare diversamente impressionati di fronte a un pezzo troppo intriso di significati collettivi (…siamo solo di fronte ad uno dei capisaldi della storia della musica e della danza occidentale!). Devo però prontamente ricredermi; già l’inizio dell’opera è l’annuncio di una sfida: i due ballerini, di spalle, iniziano a muoversi con movimenti saltellanti e sostenuti, quasi a voler dimostrare da subito di che pasta sono fatti.

È un Bolero, questo, che mette in discussione tenacità e resistenza per analizzare fino a che punto possiamo spingerci senza rimanere sopraffatti. Quando il limite del piacere può sfociare nel debutto del dolore. La sottile linea di separazione tra gravità e leggerezza viene regolarmente attraversata in quindici minuti di intenso esercizio fisico e psicologico; qual è la percezione che abbiamo nei confronti di una cosa che amiamo usare più e più volte fino ad arrivare quasi al punto di romperla? E questo vale per gli oggetti ma anche per le cose intangibili come musiche, pensieri, così come per i sentimenti, le persone o le relazioni: può essere che durino quanto una vita fino allo stesso stremo. E se ormai è troppo tardi per lasciarle andare finisce che si logorano. Bolero è quindi anche, e soprattutto, un incontro con l’altro, un rimanere aperti alle possibilità di cambiamento non sapendo a cosa ci porterà effettivamente, un tentativo immane di controllare le proprie forze spingendole al massimo, senza freni tirati, lottando contro il dissolversi del tempo e l’arrivo della fine. Perché, nelle parole del suo autore, “qualunque cosa succeda, continueremo a progredire”.

Giannarita Martino

Twitter @giannarita

12/11/2017

Foto: 1. inQuanto teatro, INFLUENZA di Floor Robert ph. Guido Mencari; 2.-7. inQuanto teatro, INFLUENZA di Floor Robert, ph. Piero Tauro;  8. Daniele Ninarello e Dan Kinzelman, Kudoku, ph. Piero Tauro; 9.-13. Daniele Ninarello e Dan Kinzelman, Kudoku, ph. Andrea Macchia; 14. Jesús Rubio Gamo Bolero, ph. Piero Tauro; 15. Jesús Rubio Gamo Bolero.

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2 Commenti

  1. Moscarda

    Performance 1, venerdì 3 novembre 2017 ore 20.00

    Titolo: Kudoku
    Coreografia: Daniele Ninarello
    Danza: Daniele Ninarello
    Musica dal vivo: Dan Kinzelman
    Curiosità: il titolo è un termine che si riferisce ai benefici ricavati dal protrarsi di una pratica. (Coltivate rituali: vi farà rinascere, ve lo assicuro).
    Giudizio sintetico: gli inglesi direbbero “stunning” che è un termine che mi piace molto perché dentro ci sento il “rimanere di stucco”.
    “Scusi…- mi volto già animata dall’istintiva indisposizione che mi suscita chi mi dà del lei (mi fa sentire anziana)- noi veniamo dalla danza classica: ci può aiutare a capire che cosa significa quello che abbiamo visto?”
    A parlare è una profumatissima signora bionda con accanto un’altra signora bionda, entrambe sulla quarantina abbondante. Ha un tono dolce e sembra sincero il suo bisogno di risposte come altrettanto ingenuo sembra il tentativo di trovarle in me.
    “Intanto non dovete cercare di capire” rispondo ancora un po’ frastornata.
    “In che senso? Cioè nel balletto classico si esprime qualcosa…”
    “No” interrompo, “nel balletto classico si interpreta qualcosa: è un po’ diverso.”
    “E quindi? Che abbiamo visto? Avrà voluto dire qualcosa!”
    “Avete visto la danza: non vi basta? Avete visto un corpo vivo collegato a un cervello che si muove seguendo una musica senza alcun altro scopo che la danza stessa”.
    Comincio a piacermi, lo ammetto, quindi continuo a parlare pensando che in fondo quella conversazione è una prova generale della recensione che verrà. Pensando che sto facendo ordine dentro di me in compagnia di due signore bionde. Pensando che i loro occhi sono quelli di due bambine che scoprono il mondo per la prima volta e che è quello l’unico sguardo che la danza merita. Che Daniele Ninarello merita.
    “In fondo gli uomini ballano da sempre, ballavano ancor prima di avere una storia da raccontare, ballavano per propiziare i raccolti, la fertilità, per far cadere la pioggia, per gli dei, per amore, per caricarsi prima della battaglia, per purificarsi. Si battevano i corpi e percuotevano il terreno, usavano la natura per suonare. Sta tutto in una soggettività che deve fare i conti con l’altro da sé…” vedo che sono attente ma che faticano a starmi dietro adesso perciò divento più assertiva e meno descrittiva. Concludo:
    “Qui c’erano due uomini, un sax, un mixer, uno spazio, la gravità, l’aria e voi avete visto il meglio di quello che può accadere quando tutto questo si incontra. Che ve ne fate allora di un significato?”
    (Lascio volutamente la recensione, così come la conversazione, monca. Con la differenza che le signore profumate hanno visto Kudoku e voi no: rimediate, in qualche modo).
    Sara Bruno
    Danzaeffebi meets #REf17

    Nov 16, 2017 @ 11:56:54

  2. Moscarda

    Performance 2, venerdì 3/11/2017 ore 21
    Titolo: Bolero
    Coreografia: Jesús Rubio Gamo
    Danza: Clara Pampyn Alberto Alonso
    Durata: 15’
    Curiosità: Durante la prima esecuzione del Bolero, in scena all’ Opéra national de Paris il 22 novembre 1928, una donna urlò pensando che Ravel fosse pazzo. Successivamente, lo stesso compositore francese affermò che quella donna aveva compreso il pezzo.
    ( —-> https://www.youtube.com/watch?v=dZDiaRZy0Ak enjoy).
    Giudizio sintetico: Dopo averlo visto avrete voglia di correre in un parco, fare la ruota, salire sui tavoli e abbracciare sconosciuti. Per cortesia: assecondatevi.
    Quando stai per entrare a vedere una performance che si chiama Bolero quello che ti dici è “Ok, male che vada, se proprio dovesse fare tutto schifo, posso sempre chiudere gli occhi e restare in ascolto”.
    Sì, perché la musica del Bolero basta a se stessa. La musica del Bolero dovrebbero farla risuonare nelle sale parto, nei nido e nei reparti adibiti alle terapie del dolore. Infonderebbe coraggio e forza negli adduttori delle madri. Accoglierebbe i neonati perché è fatta con la stessa materia primordiale delle urla di chi viene al mondo. Rinvigorirebbe tutti i corpi annichiliti dalla paura e dalla fatica.
    La musica del Bolero ricompone macerie, risveglia la nostra umanità comatosa.
    Accende fuochi.
    La musica del Bolero solleva giganti caduti.
    Non c’è stata però, davanti alla coreografia di Jesus Rubio Gamo, nessuna voglia di chiudere gli occhi: Clara Pampyn e Alberto Alonso hanno prestato i propri corpi al Bolero e, docili, hanno lasciato che si impossessasse di loro. Il risultato è la meraviglia.
    Lei, bellissima, viaggia il palco con l’eleganza e il vigore di una puledra chiomata d’ebano. Lui solido e rassicurante, la segue, la completa, la eleva.
    Il trotto leggero che all’inizio anima le figure va crescendo, diventa galoppo, esplode in salto, si esaspera in urlo. I movimenti sempre cadenzati spingono se stessi all’estremo, nel punto dove la stanchezza tocca la disperazione. Ma l’estremo si posta sempre più in là, il battito estenuante della vita non si spegne mai. Continuano a sudare l’uomo e la donna, si stringono per sostenersi, si guardano per continuare a riconoscersi, buttano fuori i loro veleni in forma di grido, scompongono in numeri -uno!dos! tres!- questa fatica che sta solo a loro trasformare in atto gioioso. Inesauribile e luminosa l’energia cui attinge senza posa l’umanità.
    La ciclicità eterna e senza scampo della Natura riprodotta nel ritmo ossessivo della musica sembra ripercuotersi nei corpi dei danzatori vivificandoli e logorandoli allo stesso tempo.
    Non siamo liberi, siamo soggetti alle leggi della nostra animalità, siamo inesorabilmente schiavi del nostro corpo, siamo destinati alla fine, questo tempo vettoriale delle nostre storie verrà divorato da un tempo senza tempo.
    Questo ci ricorda il Bolero.
    Per questo quella donna urlò nel 1928 all’ Opèra de Paris.
    Ma Ravel non ci condanna alla depressione, Ravel aggiunge qualcosa, spezza quella ciclicità opponendovi un movimento spiraliforme che torna su se stesso solo per salire e salire e salire e farsi sempre più forte.
    Più aumenterà la stanchezza più troverò risorse, più mi sentirò cadere e più sfrutterò il mio peso per saltare, più vorranno uccidermi più canterò forte la mia presenza, più le cose di dissolveranno più deciso sarà il tentativo di salvarle, più mi sarà tolto più mi prenderò.
    Nel risvolto della tragedia c’è la speranza, a guardare bene.
    Clara e Alberto danzano tutto questo: un contromovimento che non tenta di bloccare il flusso della vita ma di cavalcarlo succhiandone il midollo.
    La loro danza è una pratica di Resistenza.
    Perché, nelle parole di Ravel, “qualunque cosa succeda, continueremo a progredire”.
    (Ringrazio GiannaRita Martino per quest’ultima suggestione mutuata dal suo articolo su Danzaeffebi https://www.danzaeffebi.com/dancing-days-ref17-nuove-tenden…/)
    Sara Bruno
    #REf17 #JesusRubioGamo #danzaeffebi #Bolero #MacroTestaccio #DFBtelling

    Nov 26, 2017 @ 22:22:35

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