Colorato e fantasioso lo Schiaccianoci del Balletto di Roma nell’originale e riuscita rilettura di Massimiliano Volpini
Massimiliano Volpini, reinventa la trama di Schiaccianoci per la compagnia Balletto di Roma e tra i richiami all’originale di Petipa/Ivanov racconta una storia nuova, carica di atmosfere legate al presente, accompagnando lo spettatore lungo una narrazione originale, che riaggancia l’immaginario fantastico di tutti, introducendo dettagli inattesi e sorprendenti, come nella migliore delle favole natalizie. Il racconto scorre con chiarezza, alternando attimi di leggerezza, riflessione e misurata tensione, prima di abbandonarsi alle atmosfere incantate del sogno regalando un finale diverso.
Il Balletto di Roma (fondato nel 1960 da Franca Bartolomei e Walter Zappolini, étoile e maestro recentemente scomparso) è una compagnia dai mille volti, modellata da stili differenti e da un ampio repertorio, che pur mantenendo un legame con la storia recente della coreografia italiana (sono in programmazione anche per il 2018 i titoli di successo di Fabrizio Monteverde, dallo storico Giulietta e Romeo a Il lago dei cigni, ovvero Il Canto) dà spazio alla creatività contemporanea più recente (pensiamo alle stagioni dell’ultimo triennio 2015-2017, sotto la direzione artistica di Roberto Casarotto, con le creazioni originali di Alessandro Sciarroni, Itamar Serussi, Chris Haring, Francesca Pennini). Una varietà di produzioni che rende ricca e sfaccettata l’identità dell’ensemble e mette in luce nuovi autori, fornendo una fotografia in movimento dell’arte del presente.
In questo piano di rinnovamento continuo rientra la scelta di portare in scena un nuovo Schiaccianoci a firma di Massimiliano Volpini, artista di formazione scaligera, già autore nel 2016 de Il giardino degli amanti per il Balletto del Teatro alla Scala, nonché tra i coreografi prediletti dall’étoile Roberto Bolle, per il quale ha creato il suggestivo assolo Prototype e al cui fianco è stato anche nella recente e felice esperienza televisiva di Danza con me.
Il Balletto di Roma (che ha già avuto un proprio Schiaccianoci firmato da Mario Piazza, rappresentato con successo per dieci anni consecutivi) punta dunque nuovamente sul grande classico del Natale, proponendone un’originale rilettura.
Massimiliano Volpini reinventa la trama del balletto in due atti su musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij e pur tra i richiami all’originale di Marius Petipa e Lev Ivanov (del 1892, ispirato a sua volta al racconto Schiaccianoci e il re dei topi di E. T. A. Hoffmann), finisce per raccontarci una storia diversa, carica di atmosfere legate all’oggi: alle sue contraddizioni, alle possibilità e alle scelte. Il risultato, a nostro parere riuscito, è quello di accompagnare lo spettatore lungo una narrazione originale, che da un lato riaggancia l’immaginario fantastico di tutti, frutto di mille Schiaccianoci già amati, e dall’altro introduce dettagli inattesi, e dunque sorprendenti, come nella migliore delle favole natalizie.
L’ambientazione del primo atto cancella le luci e le preziosità del racconto e lascia che un muro imponente abbracci (e rinchiuda) un quartiere, buio come l’angolo dimenticato di un mondo distratto. Tra i resti di una quotidianità improvvisata, c’è un giovane che scopre un varco nel muro, unica speranza di una vita diversa; sotto gli occhi di Drosselmeyer (qui personaggio decisamente positivo, protettore di una piccola comunità di strada), il Fuggitivo sceglie di andare dall’altra parte del muro: temerario ed incosciente, il giovane parte alla scoperta del mondo e di se stesso, libero autore di un destino da riscrivere.
Da “questa” parte del muro (l’unica visibile allo spettatore) resta una fetta d’umanità che vive per le strade di un mondo distorto. Tra gli scarti di una grande città invisibile, gli abitanti sopravvivono e, pure, sorridono, scoprendo sotto un albero di bottiglie verdi il vero senso della festa: quello del sostegno reciproco e, soprattutto, della libertà di continuare a sognare. Piccola banda di senzatetto (in un clima da film americano anni Trenta), le “simpatiche canaglie” trascorrono il Natale tra scherzi e giochi di strada; tra loro c’è anche Clara, fanciulla dai capelli rossi e dal volto sognante in cerca del proprio futuro.
La “Festa” è presto interrotta da una squadra di “vigilanti”, che nella storia di Massimiliano Volpini sostituiscono i famigerati Topi, lato “grigio” del racconto di Hoffmann e rappresentazione degli incubi d’infanzia della piccola Clara: minacciosi e scuri, armati di torce per scovare i ribelli, controllano il muro e terrorizzano le periferie, spegnendo d’un colpo le luci e ogni speranza di fuga. Nel tumulto, Clara viene fatta prigioniera, ma in suo aiuto arriva il Fuggitivo, eroico salvatore che sconfigge la banda dei vigilanti e la conduce con sé dall’altra parte del muro.
Quel che accade dopo, nel secondo atto, è la magia di un viaggio immaginario tra i colori di un mondo gioioso, in cui tutti danzano insieme, vigilanti e fuggitivi: tra i contorni zuccherosi della favola, non è difficile scoprire il senso più lucido di una convivenza “possibile”, in cui i muri si trasformano in ampi passaggi per l’ingresso di uomini, storie e di tutti i colori del mondo. Agganciato all’originale di Petipa/Ivanov, il secondo atto di Volpini ritrova i personaggi bizzarri della Danza Cinese, Spagnola, Araba, Russa e dei Mirlitoni, in variazioni reinventate con gusto ironico, che assecondano la chiara caratterizzazione musicale di Čajkovskij. Il pas de deux di Clara e il Fuggitivo, tra intrecci e voli che esaltano la delicatezza di un amore giovane attraverso brevi contatti, timide fughe e teneri abbracci, segna il finale di un sogno e l’inizio di un vero viaggio: spente le luci dell’immaginazione, la protagonista sceglierà di seguire oltre il muro il “principe” Fuggitivo. Non sapremo mai cosa li aspetti dall’altra parte, ma nei nostri occhi resteranno quei volti pieni di speranza, desiderio e avventura, pronti ad affrontare il mondo reale, tanto contradditorio e complesso, quanto vario e pieno di colori.
Il racconto di Massimiliano Volpini scorre con chiarezza, alternando attimi di leggerezza, riflessione e misurata tensione, prima di abbandonarsi alle atmosfere incantate del sogno. L’effetto è molteplice e attiva contemporaneamente la tenerezza del ricordo, la curiosità per un nuovo intreccio, l’attesa di un finale diverso. In questo, Volpini si rivela abile regista, in grado di mantenere alta la tensione di un racconto già noto con l’ideazione di un nuovo scenario, con la sospensione della risoluzione finale e con una costruzione coreografica essenziale che tiene salda la linearità drammaturgica. Efficace la gestione dei quadri che, come fotogrammi di un film, ben delineano i capitoli della storia e i caratteri dei personaggi; definizione favorita dalla sensibilità musicale del coreografo che, nel rispetto della partitura, modella gli accenti secondo le atmosfere e gli interpreti.
Di grande effetto i momenti di insieme, grazie a curate sincronie di gruppo e rapidissimi passaggi con piccoli salti e slittamenti lungo il palcoscenico, che restituiscono l’idea di una piccola comunità felice e coesa. Riuscito, in particolare, il Valzer dei Fiocchi di Neve, qui interpretato da danzatori e danzatrici in impermeabile arancione: immagine suggestiva che moltiplica il sogno di Clara attraverso i volti dei suoi compagni, ugualmente proiettati verso un viaggio di libertà e scoperta. Intrigante, nel primo atto, il pezzo della banda dei vigilanti, gruppo serrato dall’espressione sinistra e dal passo felpato.
Le danze del secondo atto conservano la stravagante spensieratezza dell’originale, qui rivisitata stilisticamente da Volpini, che rinuncia ai virtuosismi in linea con un disegno essenziale, fatto di piccoli gesti e misurati passaggi, più orientati al racconto che alla tecnica. Pur in assenza di punte e tutù, lo stile resta ancorato alla base accademica del gruppo, e le linee dei danzatori onorano una tecnica solida che qui si ammorbidisce a favore di una narrazione moderna e brillante. Scelta stilistica che, a nostro parere, esalta l’abilità espressiva degli interpreti e regala al pubblico una versione originale e coinvolgente.
Una rilettura lucida e fresca, che abbandona le leziosità del Natale, ma non rinuncia a raccontare una festa tra le contraddizioni di una contemporaneità complessa. Quel che si perde in “magia” nel senso stretto del termine (nessun giocattolo si trasforma qui in Principe) si ritrova infine in un senso di genuina sorpresa e curiosità nei confronti del destino dei personaggi e dei loro sogni, grazie a scenari fantastici che appartengono all’immaginario di tutti.
Nota di merito alle scene e ai costumi di Erika Carretta, che ricompone gli “scarti” di un’immaginaria grande città reinventando i colori di un mondo nuovo, in cui le ruote di vecchie biciclette si illuminano come preziosi lampadari, le bottiglie di plastica ricreano un albero di Natale verde smeraldo, e vecchi cappotti si trasformano nei mantelli di personaggi avventurosi. Belli, in particolare, i costumi dei vigilanti, in giacche nere di pelle dalle spalle ampie e minacciose, e quelli delle danze del secondo atto, con tessuti velati dai colori brillanti (arancione, giallo, azzurro) e copricapi bizzarri. Da segnalare, l’utilizzo di materiali recuperati e riutilizzati nel segno di un “riciclo creativo” con il dichiarato obiettivo di riflettere sul tema, quanto mai attuale, dell’ecologia (iniziativa indubbiamente lodevole, che a nostro parere ha valore di per sé; troviamo invece meno azzeccato l’inserimento del tema nella presentazione del balletto, che già possiede una propria, efficace, linearità drammaturgica).
Buona la prova della compagnia del Balletto di Roma, composta da elementi con ottima base classica, abili nell’affrontare lo stile di Volpini, qui eseguito con estrema precisione. Segnaliamo tra loro Eleonora Pifferi, nel ruolo di Clara, brava nel definire i contorni di un personaggio in crescita, sospesa tra le paure dell’adolescenza, il desiderio di una vita diversa e l’audacia di un nuovo viaggio. Luca Pannacci, il Fuggitivo, si conferma interprete versatile, rivelando tecnica pulita, trasporto espressivo e un caratteristico candore che esalta la “verità” del personaggio. Bene Jason Syrette nei panni del “Re dei Topi”, ballerino prestante dal volto severo, di cui apprezziamo il movimento plastico e puntuale; e Giuseppe Paolicelli, Drosselmeyer dall’autorevole aplomb e dallo sguardo gentile, che ben dirige il gruppo durante la festa del primo atto. Nelle danze del mondo, troviamo divertenti gli incastri della Danza Cinese con i musicali Valentina Pierini, Raffaele Scicchitano e Fabio Novembrini; vigorosa la Danza Spagnola di Monika Lepistö e Simone Zannini, e seducente la Danza Araba di Roberta De Simone; gioiosa infine, la Danza dei Mirlitoni, con l’abile Azzurra Schena in scarpette a punta (e ombrello), accompagnata dall’elegante Francesco Saverio Cavaliere.
Ottima l’accoglienza del pubblico del Teatro Carcano di Milano, straordinariamente pieno nella serata del debutto milanese dello scorso 30 dicembre. Lo spettacolo, in tour dallo scorso 1 dicembre 2017, chiuderà la tournée il 19 gennaio 2018 al Teatro Verdi di Padova.
Lula Abicca
17/01/2018
Foto: Balletto di Roma, Schiaccianoci di Massimiliano Volpini, ph. di Matteo Carratoni e di Daniele Bianciardi.