Danzando per le Marche

Parkin’son di Giulio D’Anna: un padre e un figlio si confrontano sulla scena come nella vita

03 . 02 . 2014

21:00

Fermo - Teatro dell’Aquila via Mazzini 8

Contemporaneo

Quali sono le differenze tra la generazione del ’49 e quella dell’80? Cosa raccontano due corpi essendo, allo stesso tempo, l’uno l’idea del futuro e l’altro il suo passato? In Parkin’son gli interpreti sono un terapista di 62 anni, senza una formazione in danza, e un coreografo di 31 anni: due generazioni a confronto, un padre e suo figlio per raccontarsi attraverso il corpo. Padre e figlio D’Anna, come se uscissero da una delle storie di Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia, esplorano la loro relazione sul palco: una collezione di eventi personali, drammatici ma anche ironici, che trovano la propria testimonianza sulle linee della pelle e sulle forme di due corpi legati dal sangue e dalla propria storia.

Parkin’son di Giulio D’Anna, vincitore del Premio Equilibrio di Roma nel 2011, è un toccante confronto tra generazioni, una pièce di danza che tocca corde emotive intime e soggettive, che coinvolge e affascina e non a caso ha fatto, e sta ancora facendo, il giro d’Europa acclamato dalla critica internazionale e dagli spettatori.

La genesi dello spettacolo è raccontata da Giulio D’Anna, sanbenedettese di nascita, olandese di adozione, in un’intervista: “ L’urgenza e l’idea di questo spettacolo nascono da mie necessità personali e umane. Mentre io facevo base in Olanda a mio padre è stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Come figlio volevo fare qualcosa e c’erano solo due possibilità: tornare a casa, oppure trasportare lui nel mio mondo. Ho scelto la seconda strada, per dare nuovi impulsi alla sua vita, che fino a quel momento era trascorsa lontana dalla danza. Il Parkinson si combatte con aiuti farmacologici, ma anche coltivando grandi interessi, quindi è stata una scelta esistenziale e, se vogliamo, egoistica. Corpi danzanti non convenzionali sono la mia scelta: corpi che esistono e che sanno raccontare in maniera più diretta cose capaci di colpire lo spettatore. Mi sono anche interrogato sul rapporto tra genitori e figli, oltre gli stereotipi di convenzionalità e ribellione. Così storie individuali sono diventate universali, nella convinzione che se riesco a toccare le corde personali riesco anche a dialogare con il pubblico. Poi ho chiesto a mio padre quali fossero le sue motivazioni e mi ha risposto, con chiarezza, che questa potrebbe essere una delle ultime possibilità attraverso cui farmi sentire il suo sostegno”.

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