Al Festival Exister Luna Cenere con Kokoro, Olimpia Fortuni con Fray e Marco Chenevier con Questo lavoro sull’arancia
02 . 12 . 2017
Milano - Dancehaus, via Tertulliano 70
La decima edizione di Exister, festival organizzato da Artedanzae20 in collaborazione con Teatro Franco Parenti e Teatro Fontana e curato da Annamaria Onetti, sostiene da sempre le giovani compagnie ed artisti del circuito Anticorpi XL. Sabato 2 dicembre 2017, negli spazi di DanceHaus a Milano, sono presentate le creazioni di Luna Cenere e Olimpia Fortuni accompagnate da una creazione di Marco Chenevier.
In Kokoro – parola giapponese traducibile come il nostro ‘essere interiore’ ma che letteralmente abbraccia due parole/concetti, ‘la mente’ e ‘il cuore’ – Luna Cenere si interroga sui temi dell’essere e la percezione della realtà. Questo assolo costituisce la personale ricerca di un unicità dell’essere, un percorso interiore divenuto percorso fisico nello lo spazio, durante il quale il corpo nudo, attraverso la sua esposizione e specifica architettura, si trasfigura e diviene veicolo poetico facendo emergere immagini appartenenti ad un ‘mondo irreale’.
“Kokoro è il risultato di una ricerca personale, in continuo divenire – spiega Luna Cenere – Un lavoro fatto su me stessa, come danzatrice e come persona. La scelta della nudità, venuta in seguito a un processo della durata di un anno, è una necessità dettata da una sempre più profonda ricerca e desiderio di intraprendere scelte radicalmente oneste. La carne è l’abito di cui mi vesto ed è l’elemento drammaturgico che più esprime la direzione artistica alla quale il lavoro si ispira e che vuole intraprendere. Il materiale fisico è stato scritto a partire dalle specificità della mia figura e dalla raccolta di memorie fisiche e immagini, divenute sottotesto e motivo per la composizione. In questo lavoro mi interrogo sullo stare al mondo, sull’essere in tante forme, simultaneamente e non, sul visibile e l’invisibile, il manifesto e l’interiore. La traccia segue un percorso personale che racconta attraverso immagini che attingono da una memoria collettiva facendo si che l’esperienza del singolo venga inevitabilmente condivisa”.
Olimpia Fortuni nell’assolo Fray, interpretato da Pieradolfo Ciulli, compie una vivisezione cruda del corpo che vive e che corre, oggi, più che scorrere, consumandosi ed esaurendosi. La potenza e la bellezza della vita sfugge inconsapevole come la meraviglia di un corpo danzante nel suo viaggio dentro e fuori di sé.
Scrive Olimpia Fortuni: «Tutto è nato per andare sempre più veloce, è il ritmo del caos. Dal Big Bang ad oggi i pezzi del puzzle dell’esistenza diventano sempre più microscopici, come frattali, e noi oggi non siamo altro che una parte piccolissima del ripetersi di un disegno dell’esistenza di grandezze inimmaginabili. Delicati e fragili quanto un bicchiere di cristallo che, prima o poi però, cadrà e si romperà in mille pezzi, poiché è l’inevitabile direzione della vita che tende alla disgregazione e alla frammentazione. Un cimitero di ossa, fotografia del futuro, parte di quello che materialmente saremo, per ricordarci quanto non sia scontato essere qui, ora. L’influenza dei nostri tempi trasforma la decomposizione in altro ordine e il caos non solo si espande verso il fuori ma dall’interno implode. La pesca che compriamo al supermercato marcisce dentro, mentre fuori la pelle rimane accattivante e desiderosa di essere assaggiata. Noi, nel nostro degrado globale e individuale, seguiamo lo stesso processo fisicamente, spiritualmente, socialmente, culturalmente. Così non solo la vita, ma anche la morte è diventata ambigua e, se esteticamente possiamo godere di tutti i formulati di bellezza e onnipotenza, dentro non possiamo fermare il nostro eterno viaggio verso il caos. La potenza e la bellezza della vita sfugge inconsapevole come la meraviglia di un corpo danzante nel suo viaggio dentro e fuori di sé».
Chiude la serata Questo lavoro sull’arancia del coreografo Marco Chenevier, che prosegue la ricerca iniziata con Quintetto, interrogandosi sul dispositivo scenico e sul linguaggio della danza contemporanea. Strizzando l’occhio al film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, Marco Chenevier crea sulla scena un cortocircuito tra danzatori e spettatori, richiamando il pubblico ad assumersi le proprie responsabilità, all’interno di un esilarante gioco di ruoli. Il lavoro, creato con il mentoring di Roberto Castello e Roberta Nicolai, vede in scena i danzatori Marco Chenevier e Alessia Pinto.
Scrive Marco Chenevier «Abbiamo creato dei piccoli meccanismi, delle “trappole” sornione, in cui gli spettatori vengono accompagnati dai due performer. Questi piccoli dispositivi sono concepiti in modo tale per cui gli spettatori devono, per far procedere la drammaturgia, intervenire, interrompendo o modifcando lo svolgersi della scena. Per far ciò abbiamo realizzato una linea progressiva in cui poco a poco il pubblico viene condotto su un terreno di fiducia e di condivisione, di empatia, con interventi sempre più importanti ed invasivi. L’estetica strizza l’occhio al film cult Arancia meccanica. L’arancia, il latte, il bianco, il rapporto sadomasochistico dell’artista con il sistema spettacolare e con gli spettatori, fanno da sottofondo allo svolgersi degli esperimenti. La scelta di Arancia meccanica è dovuta all’attenzione che porto alla violenza quale elemento sociale fondamentale: la violenza economica del sistema neocapitalistico, la violenza delle guerre in atto ovunque nel mondo, la violenza nei confronti dei migranti e della polizia nei confronti dei movimenti di protesta. Il pubblico viene accolto con un “pacco di benvenuto”, contenente un’arancia ed altri elementi necessari per poter intervenire. Una danza senza fine, il gustare tutti insieme un’arancia, fino ad un atto di violenza tra i due danzatori».