La recensione

Barbarians di Hofesh Shechter inaugura REf16 svelando la conquista di una nuova maturità per l’artista.

Barbarians, ultima creazione di Hofesh Shechter, è una trilogia sull’amore, sulla passione, e sull’intimità ma soprattutto sulla libertà di scegliere, essere se stessi, riconoscersi. Spettacolo multiforme, articolato in tre pezzi distinti, diversi per intensità, energia e sonorità, questo complesso racconto scuote il pubblico e gioca con la percezione e comprensione di ciascuno.

Con l’invasione dirompente dei barbari di Hofesh Shechter è partito ufficialmente il 21 settembre Romaeuropa festival 2016. Barbarians appunto, presentato al Teatro Argentina, ha segnato l’apertura di REf16 nella direzione di Portati altrove, il tema del festival che ne raffigura l’impegno ad accompagnare lo spettatore in un percorso di emozioni e scoperte artistiche. L’acclamato coreografo israeliano, trapiantato in Inghilterra sin dal 2008 quando forma la sua compagnia, torna in Italia per presentare il suo ultimo lavoro di cui è autore anche per parte della musica (perché lui stesso non riesce a pensare alle coreografie senza i suoi suoni, come ha dichiarato più volte). Un lavoro che nasce con l’intento di uscire dalla sua “comfort zone”, allontanandosi dalle tematiche politiche già trattate per approfondire il mondo interiore e lo sconvolgimento provocato dall’incontro con la passione.

Ed eccoli questi barbari a rappresentare, nello stesso pensiero dell’autore, lo sconosciuto, il diverso, l’altro da noi. Motivo che ci fa dire di essere tutti barbari nel confronto con l’estraneo, quando ci sperimentiamo con il nuovo e con l’amore, avvicinandoci a quelle delle emozioni finora ignorate. Barbarians sigla così un Hofesh Shechter ormai maturo, un quarantenne che si mette in gioco animato da un rinnovato desiderio di esplorazione di nuovi linguaggi e di rottura con il passato. Lo spettacolo fa esplodere la sua trilogia sull’amore, sulla passione, e sull’intimità ma soprattutto sulla libertà di scegliere, essere se stessi, riconoscersi ma anche rendersi conto di somigliare all’altro che non è più così estraneo.

Scuote il pubblico questo complesso racconto articolato in tre pezzi distinti, espediente che aiuta a dare respiro alla ricchezza delle composizioni articolate in diverse intensità di energia e cinetiche. Movimenti che richiamano vocabolari primari, tribalismi, sequenze che non rinunciano ai consueti richiami della tradizione popolare mediorientale o nordeuropea, rivisitati in chiave contemporanea, e che catturano il pubblico in un’alternanza che segue sempre il proprio filo logico. Immerso in repentini cambi di scena e sottoposto a passaggi di sonorità contrastanti, lo spettatore segue la traccia della propria ricercata confusione cercando di districare il complesso rapporto tra mente-corpo, volontà-desiderio. Ed è per questo che lo stesso spettatore, per dispiegare il bandolo delle pluralità comunicative in scena, spesso si affida alle voci fuori campo che intervengono durante le pieces: sono incursioni a volte fredde e metalliche, altre volte invece presentano un dialogo a due in cui Shechter pare confrontarsi con un Super Io critico e in parte crudele (nella voce dell’attrice Natascha McElhone) al quale svelare e giustificare intenzioni, progetti, sogni.

Lo spettacolo si apre con The barbarians in love, pezzo per sei danzatori su musiche assordanti composte dallo stesso artista, con una commistione di suoni elettronici dalla deriva rock e di melodie barocche, dalle note di François Couperin. Individui erranti in asettiche tenute bianche (allusive a imbragature ospedaliere?) avanzano con forza, insieme, in perfetti unisoni, affrancandosi dal gruppo soltanto a tratti durante i propri assoli caotici. Tra luci affilate che sezionano la scena in una precisione quasi ossessiva, e che scansionano il palco e la platea stessa, i barbari vengono interrogati dalla voce robotica fuori campo e sottoposti a lezioni sull’amore. è in ballo la ricerca della propria innocenza e purezza, elementi esaltati nelle parti coreografiche che utilizzano la regolarità e la simmetria delle sonorità classiche. L’apparire e scomparire dei danzatori, in concomitanza dei momenti di buio e luce, sembra sottolineare il dissidio interiore di uno Shechter che vorrebbe abbandonare l’idea di un amore quale banale necessità fisiologica, e che rende i suoi ballerini nudi e inermi, nella scena finale, spogliati da tutta l’aggressività iniziale che li aveva portati guerrieri sul palcoscenico.

Il secondo pezzo è tHE bAD, coreografia per 5 danzatori in fascianti tute dorate, sparati in musiche groove dub step cariche di percussioni che influenzano profondamente il ritmo insistente dei movimenti. Il passaggio dall’atmosfera fredda e bianca della piece precedente a quella ora più calorosa, quasi solare, confonde ancora una volta i sensi dello spettatore che piomba all’improvviso nel mood di questi ballerini con l’espressione “da duro”. Si assiste così ad una interconnessione di luci e corpi scivolosi che strisciano tra loro a vicenda, pompando rap e sequenze funky, soccombendo e emergendo l’uno dall’altro. Nel frattempo i più rari intermezzi dei momenti di musica barocca, riprendendo posture formali e salti infantili, ci ricordano la perdita del corpo armonioso della prima parte. L’atmosfera intensa si scioglie con leggerezza quando uno dei performer seduce il pubblico con la richiesta di intonare collettivamente la Vita spericolata del nostro Vasco Rossi. In chiusura della performance si torna infine alla danza e il terzo pezzo va a sovrapporsi al secondo, proprio a sottolineare i diversi lati della stessa medaglia.

Two completely different angles of the same fucking thing, è perciò l’ultima performance di Barbarians. Questo terzo brano coreografico è stato creato da Hofesh Shechter insieme agli storici interpreti della compagnia Winifred Burnet-Smith, Bruno Guillore e Hannah Shepherd.

La singolare storia d’amore tra un qualsiasi uomo e una qualsiasi donna viene portata in scena da una coppia che si presenta in vestiti assolutamente semplici e “regolari”: lei in pantaloni e camicia morbidi; bermuda, cappello e bretelle per lui. I due iniziano a muoversi su una dolce melodia con passi lungamente ripetitivi, in una sospensione del tempo che richiama l’imbrigliamento dell’individuo in una relazione amorosa. Mentre i registri musicali cambiano, i ballerini si trovano a dialogare tramite sequenze ora tenere e romantiche, ora invece sofferenti a rivelare il desiderio di abbandonare quella che può essere una situazione stagnante e generata solo dall’invenzione umana (cosa altro è l’amore se non una convenzione!). E pian piano l’artista richiama in scena alcuni dei danzatori delle precedenti performance in un epilogo corale dove trova il compimento l’ossessiva auto riflessione dei primi due pezzi. Che cosa è, infatti, la realtà se non quella cosa flessibile che si sovrappone tra il mondo interiore e quello esteriore (come rivela la stessa voce fuori campo di Hofesh Shechter in una delle sue ultime incursioni)? Ed è per questo che ci sono molti modi di vedere l’amore, così come il pubblico ha molti modi di interpretare Barbarians se riesce ad abbandonare la propria razionalità e a lasciarsi andare, liberandosi dall’illusione di far combaciare tutti i variegati elementi di uno spettacolo multiforme che gioca con la percezione e comprensione di ciascuno.

Giannarita Martino

Twitter @giannarita

24/09/2016

Foto: barbarians di Hofesh Shechter, ph. Piero Tauro.

 

Scrivi il tuo commento

2 Commenti

  1. ericabravini

    Lo stile di Hofesh Shechter
    Delicata potenza è la danza di Hofesh Shechter che si fonda sulle opposizioni e i contrasti, tra forza e fragilità, aggressività e dolcezza, impeto e leggerezza.
    Uno stile unico, figlio dell’incontro tra oriente e occidente, diventato guida ed ispirazione per chiunque ami la danza contemporanea. Il 22 e il 23 settembre 2016, presso il Balletto di Roma, durante il laboratorio Let’s dance, 5 danzatori della compagnia hanno lavorato con noi ballerini, che abbiamo avuto il privilegio di conoscere lo stile e il linguaggio coreografico di Shechter sperimentandolo direttamente sul nostro corpo.
    La prima parte del workshop, organizzato in collaborazione con il Romaeuropa Festival, è stata dedicata ad un’improvvisazione guidata mentre la seconda allo studio di sequenze di repertorio tratte da Barbarians, lo spettacolo andato in scena al Teatro Argentina nell’ambito di REf16.
    Durante l’improvvisazione l’attenzione è stata rivolta ai principi base dello “stile Shechter” come l’uso denso degli arti, il baricentro basso, l’utilizzo del pavimento, dal quale ricavare la forza necessaria al movimento, la leggerezza nei gesti, anche in quelli più violenti. L’obiettivo diventa quello di sentirsi come dentro ad un fluido, per cui i movimenti sono consistenti e corposi, sentirsi come fumo nell’aria, che si spande irregolare ma armonioso. Tutto il corpo respira; i movimenti non partono dalle articolazioni singole ma da dentro, dal centro del corpo nasce l’impulso. Non è concessa la forma fine a sé stessa, a cui siamo inconsciamente legati, come sottolinea Bruno Guillore, direttore artistico associato. Noi esseri umani, e soprattutto noi italiani, siamo abituati ancestralmente ad un’estetica ben precisa, regolare e ponderata, al “bello” ideale che viviamo quotidianamente nell’arte che ci circonda. Tutto ciò è proibito nello “stile Shechter” e dobbiamo invece agire istintivamente, simultaneamente al pensiero, accettare qualsiasi cosa il nostro corpo vuole fare senza giudicarlo, senza “abbellire”: liberare completamente la mente ed abbandonarsi alla gioia di danzare e di condividere lo stesso mood con tutti i presenti, creare un unico corpo danzante in simbiosi con una musica trascinante, abbandonare la convenzione e diventare puro ritmo.
    Il segreto della danza di Hofesh Shechter è la forza dei movimenti, che ci viene spiegata con l’esempio di un felino: come un gatto dobbiamo essere delicati sul pavimento ma esplodere con l’energia di una tigre. Forza non significa rigidità ma consapevolezza.
    Un workshop incisivo e rivelatore quello con i straordinari danzatori della Hofesh Shechter Company: Bruno Guillore, Erion Kruja, Chien- Ming Chang, Yeji kim e Kenny Wing Tao Ho. Ore di studio e di intenso lavoro fisico alla scoperta di una qualità di movimento originale e rivoluzionaria, firma di uno dei più grandi coreografi del ventunesimo secolo.
    Erica Bravini
    Danzaeffebi meets #REf16

    Set 25, 2016 @ 16:24:55

  2. caterinagiangrasso

    Con Barbarians si viene travolti dalla performance, dal godimento che ne deriva. Hofesh Shechter in questo ultimo lavoro, estremamente forte per suoni, evoca tutto ciò che ha motivo di essere evocato. È uno spettacolo in cui si dice tutto e in cui non viene detto niente. Ciò che dice – e non dice – però lo dice benissimo.
    Il legame tra i performer, tra i performer e la loro esperienza, tra i performer e gli spettatori, tra gli spettatori e gli spettatori, tra le voci di Hofesh e della sua anima, le voci di Hofesh e suo padre, i ricordi e i desideri di tutti sono coinvolti.
    Solitamente, quando si assiste ad uno spettacolo di danza – parliamo di danza contemporanea – c’è sempre un’aspettativa più o meno alta, volta a trovare un significato al movimento, un’interpretazione del gesto. In Barbarians, titolo che distorce ma calza come un guanto aderente allo spettacolo, c’è un sano appiattimento delle aspettative, vengono soddisfatte quelle di chi vuole vedere i movimenti per il puro gusto di goderne la bellezza e vengono soddisfatte quelle di chi in quei movimenti ricerca un significato.
    È uno spettacolo che andrebbe consigliato a tutti coloro che approcciano alla danza del mondo contemporaneo per la prima volta: Barbarians può essere compreso da tutti, a prescindere dal fatto che possa piacere o meno, quello è un momento successivo. Porsi in abbandono è forse il modo più sano di essere spettatori, non aspettandosi niente e meravigliandosi di tutto.

    Caterina Giangrasso

    Danzaeffebi meets #REf16

    Set 25, 2016 @ 17:39:34

design THE CLOCKSMITHS . development DEHLIC . cookie policy