La recensione

Al Festival di danza spagnola e flamenco di Roma tradizione a avanguardia con Son di Nova Galega de danza

Son, ultima straordinaria creazione della compagnia Nova Galega de danza, sorprende al Festival di danza spagnola e flamenco di Roma. Quattro stili differenti si fondono: danza tradizionale galiziana, stilizzazione della danza spagnola, danza contemporanea e flamenco. Una contaminazione affascinante dovuta all’esperienza di percorsi di ricerca continua della compagnia.

È il 16 novembre 2010 quando l’UNESCO inserisce il flamenco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Un’arte composta di canto, danza e musica che si traduce in cultura universale e che dal sud della Spagna contribuisce ad apportare elementi unici di visibilità dell’intera nazione in tutto il mondo. E dall’UNESCO vengono riconosciute anche le funzioni sociali del flamenco che restituisce identità a comunità, gruppi e persone; fornisce riti e cerimonie della vita sociale e privata; crea un vocabolario e un corpo di espressioni. Forse per questo, finito lo spettacolo Son all’Auditorium Parco della Musica di Roma, la signora seduta accanto a me inizia a raccontare in castigliano di essersi sentita per un’ora e 15 minuti rapita e letteralmente “trasportata” nella sua Spagna, al pari della contemplazione di un quadro di Picasso!

Lo spettacolo, andato in scena a Roma lo scorso 12 gennaio 2018, si inserisce tra gli appuntamenti più all’avanguardia tra quelli del Festival di danza spagnola e flamenco di questo 2018 di cui Roger Salas ha in carico la direzione artistica. Cinque date di spettacoli, più una installazione fotografica temporanea di Jesús Castañar, a voler comprovare quanto la danza spagnola e il balletto flamenco stiano cambiando e si trovino ad attraversare un momento cruciale di sviluppo estetico e formale.

Ma la compagnia Nova Galega de danza vuole spingersi ancora oltre con la composizione di questa sua opera, che esalta sì il flamenco ma lo fa attraverso una sapiente commistione di stili differenti. Danza tradizionale galiziana, danza spagnola stilizzata e danza contemporanea sono gli elementi qui contaminatori che dimostrano, ancora una volta, quanto sia vincente attingere linguaggi nuovi da discipline diverse, sperimentando forme espressive insolite e ammalianti. Ma che si nutrono sempre delle vere radici della danza. Una ricerca portata avanti da anni dalla compagnia diretta da Jaime Pablo Díaz nella volontà di attingere ai balli più puri della tradizione spagnola, per reinventarli dando spazio a proposte artistiche innovative. Anche la musica di Son, affidata a Sergio Moure de Oteyza (autore nominato per i premi Goya e Gaudí), parla di fusioni possibili tra i panorami spagnoli del Nord e del Sud, a testimonianza di armonie pensabili e concrete. Tutti elementi, questi, che nel 2017 fanno guadagnare allo spettacolo il premio del pubblico durante la trentesima edizione della Mostra del Teatro de Ribadavia.

In Son nove danzatori sul palcoscenico, allo stesso tempo ballerini e uomini che esplorano territori sconosciuti nella loro visceralità espressiva, comunicano tutti i sentimenti dell’essere umano. I colori utilizzati sono quelli della sacralità del bianco e della corporeità della terra, esaltati nelle loro forme di dipendenza e controdipendenza. Con passaggi in scena veloci, tra incursioni musicali celtiche e un cante flamenco eseguito dal vivo, si avvicendano 10 pezzi coreografici con transizioni di impatto che lasciano poco tempo all’elaborazione logica. E se la ragione viene messa in secondo piano, il linguaggio parlato qui è più propriamente quello “della pancia” che porta uno spettatore incantato ad immergersi interamente nei movimenti parlanti.

Pretesto della storia è rappresentato da uno scultore in crisi, che vuole abbandonare le sue opere perché non sa più come rivelare il proprio mondo interiore; saranno però le stesse a mostrargli man mano le proprie radici, la propria essenza e il cammino da cui si è partiti e quello a cui si è arrivati. In una sorta di rito purificatore si viene costantemente ri-battezzati alla vita, paesaggi umani creano emozioni, fanno e disfanno alla ricerca della pura perfezione, mescolando calpestii di piedi terrigni a saltelli popolari, movimenti roteanti di mani a evoluzioni di tronchi e gambe. Sono uomini che lasciano poco spazio alla mancanza dell’elemento femminile in scena; l’amore e la vita, l’esaltazione e la supremazia, la vulnerabilità e la morte sono incarnati insieme in un’unica energia evocatoria mentre le gonne vengono roteate come mantelli che addensano genere maschile e femminile.

E se creare è far vivere e far esistere, dalle stesse creazioni si è rivelati e si esiste, perché esse stesse “son” (sono) e indicano gli occhi da cui si guarda.

Giannarita Martino

Twitter @Giannarita

17/01/2018

Foto: Nova Galega de Danza, Son, ph. Moncho Fuentes.

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