Essenza o Apparenza. Convegno di danza a EstArte 2019, Festival della Danza Città di Vico Equense
05 . 09 . 2019
15.00
Vico Equense (NA) - Sala delle Colonne del Chiostro Ss. Trinità e Paradiso di
Nell’ambito di EstArte, Festival della Danza Città di Vico Equense, manifestazione che unisce stage, spettacoli, convegni e una rassegna di scuole di danza, si svolge giovedì 5 settembre 2019, alle ore 15.00, nella Sala delle Colonne del Chiostro Ss. Trinità e Paradiso di Vico Equense, il convegno Essenza o Apparenza.
Il convegno, introdotto dal Sindaco di Vico Equense Andrea Buonocore e moderato da Pino Visconti, prevede gli interventi di:
- Francesca Bernabini – giornalista, critico di danza, direttore di Danzaeffebi.com
- Angela Barba – docente di discipline umanistiche presso il Liceo Classico Virgilio di Meta di Sorrento (Na), studiosa di letteratura comparata in particolare di Gender Studies
- Claudia Celi – danzatrice, docente di Storia della Danza e Spettacolo teatrale, cinematografico e digitale presso l’Accademia Nazionale di Danza e l’Università di Roma – La Sapienza
- Simona Vanni – giornalista, autrice programmi televisivi, studiosa di analisi sociologica nell’utilizzo dei social.
Le relatrici interverranno a partire dalle seguenti parole di Merce Cunningham: «La danza non è un’arte per avere successo, ma un dono per dare agli altri un’emozione».
Scrive Dino Verga, direttore artistico di EstArte, a proposito del convegno:
«In un’epoca come la nostra, in cui l’Io è sempre al centro, sembra mancare però un’attenzione che sia reale al benessere dell’Io stesso, un’attenzione, quindi, al profondo. Curando solo l’esteriorità, abbiamo obliato completamente il nostro aspetto interiore, quello che guida i nostri passi e i nostri desideri. Così facendo, rischiamo di mischiare l’esterno con l’interno, trovandoci con un mix di qualcosa che a vederlo bene, non siamo noi.
La conseguenza? Quella che stiamo vivendo: un grande egoismo figlio di un narcisismo che discende direttamente da questa voglia di apparire a tutti i costi, anche a costo dell’essenza.
Tutte le nostre esistenze sembrano improntate in quella che è diventata una vera e propria esigenza: apparire, e farlo a tutti i costi. Non importa più come ci sentiamo, ma come sembriamo. Fa nulla se abbiamo il sorriso spento, l’importante è che la nostra camicia sia ben stirata e i capelli in ordine. Curiamo l’aspetto esteriore perché sono i like quello che al momento ci interessa. La popolarità, l’essere “chiacchierati”, è quello che vogliamo, e sembra non interessarci nemmeno il modo con cui ci giudicano, l’importante è essere giudicati, contrariamente a quanto sosteniamo: ci vogliamo al centro di un mondo che al centro non è. Sentiamo il bisogno di sentirci sempre al top e non possiamo abbassare la guardia nemmeno per un istante, perché, pur sapendo che l’essere umano ha breve memoria su qualsiasi notizia, non possiamo permetterci di sbagliare. Sembra che al mondo di oggi, una lacrima che non sia al momento giusto, sia una lacrima sprecata, nel senso di “usata male”. Noi, infatti, usiamo le lacrime, abbiamo smesso di viverle come la possibilità di una catarsi. Oggi per noi le lacrime sono utili, come utili sono i rapporti che decidiamo di instaurare.
La danza, ancora alla fine dell’Ottocento, faticava ad essere riconosciuta come autonoma forma d’arte (considerata come momento minore per accompagnare la musica, equiparata più alla pantomima). Doveva, per riuscirci, elaborare un proprio lessico sia dal punto di vista tecnico (danza come grammatica del corpo) sia dal punto di vista della poetica. E naturalmente lo fece: un linguaggio codificato che diviene tecnica, la base necessaria per connotare il lavoro del ballerino, per misurarne le capacità, la base su cui poi si innestano anche altri criteri valutativi e d’espressione. La danza quindi diviene un linguaggio codificato e complesso che nel movimento esprime la sua compiuta estetica. Ma con il tempo tale linguaggio si frantuma in diverse possibilità, diversi stili i quali richiedono al corpo del ballerino una diversa forma di movimento.
Nel pieno riconoscimento della danza come forma d’arte interviene anche certo lavoro critico, che con forza fa emergere la necessità di definire le specifiche del fare danza. Illuminante la posizione di Mallarmé che nella danza, e nel movimento del corpo che ne è manifestazione, vede: pura intenzione in atto capace di trasformarsi in simbolo, fluttuanti visioni, emozioni non decifrabili immediatamente ma comunque percepibili. La danza come una forma di poesia non ingessata dall’uso, e dalla gabbia, della parola. Un corpo che danza diviene perciò astrazione, pura espressività, estetica in compimento, sorretta da una tecnica (un linguaggio) che deve necessariamente essere sconvolta e reinventata, è un’istanza, persino un bisogno, che appartiene ad ogni forma d’arte.
Viene posto in primo piano il corpo, non può essere altrimenti, la danza è un corpo che si costruisce nello spazio, lo sconvolge, lo reinventa, lo allarga, e la tecnica è da considerarsi non come un linguaggio chiuso in sé che non ammette aperture, bensì la base attraverso cui esprimere libertà di fare e di contenuti, in quanto la danza ridotta all’essenza è “comunicare”, è un modo di esprimere sé, un concetto, un’emozione.
Ma oggi la danza in che percentuale è necessità di esprimersi, di realizzarsi e di essere se stessi, rispetto al desiderio di apparire, di esibirsi, di ricevere consensi?»
Il convegno è a ingresso gratuito.
https://estartevicoequense.wixsite.com/estarte2019
Foto: 1. Convegno EstArte 2018; 2. Francesca Bernabini; 3. Angela Barba; 4. Claudia Celi; 5. Simona Vanni.