La recensione

Robbins, Preljocaj, Ekman. Trittico d’autore al Teatro dell’Opera di Roma. Meritati applausi per il Corpo di Ballo e la direttrice Eleonora Abbagnato.

Calorosi e meritati applausi per il trittico di balletti in scena fino all’8 aprile 2017 al Teatro dell’Opera di Roma. Apre The Concert di Jerome Robbins, gioiello di creatività e ironia, un susseguirsi di scene esilaranti che proprio nell’intenzione umoristica esaltano la bravura degli interpreti. Segue Annonciation di Angelin Preljocaj con Eleonora Abbagnato e Rebecca Bianchi, duetto di folgorante bellezza, che rapisce ed emoziona. Chiude Cacti di Alexander Ekman che ammalia per freschezza e originalità espressiva, per completezza compositiva e chiara gestione coreografica del gruppo di 16 danzatori, qui splendidi interpreti contemporanei.

Il Corpo di Ballo dell’Opera di Roma chiude in questi giorni la prima metà di Stagione al Teatro Costanzi con il trittico Robbins/Preljocaj/Ekman, in replica fino all’8 aprile 2017. Presentato dalla direttrice Eleonora Abbagnato come un omaggio ai precursori della danza di oggi e una scommessa sul linguaggio coreografico del futuro, l’ottimo risultato della serata è frutto di un’intelligente programmazione annuale in cui il Corpo di Ballo romano mostra di possedere gli strumenti tecnici e interpretativi adeguati per interpretare con disinvoltura un vasto repertorio. Non è impresa semplice passare dal classico puro de La bella addormentata di Jean-Guillaume Bart (recente trionfo del Teatro) al linguaggio moderno e contemporaneo del trittico in programma: la padronanza tecnica e interpretativa con cui la compagnia affronta le nuove sfide del repertorio non solo conforta sullo stato presente dell’ensemble, ma lascia ben sperare sull’ulteriore crescita degli interpreti e fornisce persino una chiave direttiva vincente al quadro critico dei corpi di ballo italiani.

In apertura di serata, The Concert di Jerome Robbins, gioiello di creatività e ironia del 1956. L’inizio è solenne: un grande sipario dipinto (disegno di Saul Steinberg) prefigura un ‘teatro nel teatro’ in cui l’ordinarietà dello spettatore viene sconvolta dallo specchio di fantasie comuni e inconfessate. La protagonista del Concerto, la pianista Enrica Ruggiero, inaugura la scena: tra gesti scaramantici e polvere copiosa, il pianoforte sussurra le note di Frédéric Chopin, a cui lentamente risponde una microcomunità irresistibilmente bizzarra di spettatori, appassionati, disturbatori e performer. Incuriositi dalla verosimiglianza di personaggi tipici delle platee da concerto, ci ritroviamo a ridere di gusto di situazioni surreali: c’è l’osservatrice attenta che non tollera distrazioni, le amiche in coppia e rumorose, i coniugi in impasse per le frivolezze di un marito in conquista e i sospetti di una moglie gelosa, l’ascoltatrice appassionata che non resiste al richiamo musicale e si lancia in coreografie ispirate che non mancano di coinvolgere l’intero gruppo di spettatori, compreso un timido e improvvisato porteur.

Nascono scene esilaranti (alcuni veri e propri brevissimi sketch) che proprio nell’intenzione umoristica esaltano la bravura degli interpreti, magistralmente in equilibrio sul suolo scivoloso della ‘simulata imperfezione’. In questo senso, è straordinaria l’esecuzione di un gruppo di ballerine alle prese con i (finti) strafalcioni di un ‘Valzer degli Errori’ da incubo: un pezzo in cui si ride sonoramente, grazie all’ottima verve delle interpreti Roberta Paparella, Elena Bidini, Arianna Tiberi, Alessia Gelmetti, Antonella Marcocchio e Flavia Morgante.

Nell’onda esilarante, il brano di gruppo con gli ombrelli punge come una pioggia inattesa e ricompone il lirismo chopiniano: nel teatro piovoso di un mondo ‘alla Magritte’, uomini e donne di scambiano ombrelli, illusioni e speranze, immuni alle intemperie della vita e artisti di nuove giornate di sole. Tornano, sul finale, gli improbabili intrecci di un corpo di ballo ormai preda di incontenibile vena lirica e vittima di personaggi alati travestiti da insetto. Nuove silfidi di un palcoscenico impazzito, soccomberanno infine al retino acchiappafarfalle della pianista, risolutrice eroica di un concerto fuori programma.

Il Corpo di Ballo romano rivela in The Concert grande abilità interpretativa, nel pieno rispetto della chiarezza estetica e della pluralità rappresentativa di Jerome Robbins, di cui riesce persino ad esaltare l’universalità umoristica grazie ad una caratteristica e giovanile efficacia ‘comica’. Scopriamo un’inedita Rebecca Bianchi, prima ballerina dalla lirica attitudine, qui sorprendentemente ‘buffa’ nel ruolo della Ballerina, pur impeccabile nella perfezione delle linee accademiche: dal contrasto tra il taglio scultoreo della figura e la languida ironia del personaggio emerge la natura eclettica di un’artista in grande crescita, tecnicamente certa e interpretativamente versatile. Meriti che la ballerina aveva già conquistato ad inizio stagione nel ruolo di Bella ne Il pipistrello di Roland Petit, districandosi con classe tra le sfumature di un personaggio complesso, sospeso tra disillusione e rivincita.

Conferma la propria verve, nei panni del ‘Marito farfallone’, il solista Alessio Rezza (già ottimo Ulrich ne Il pipistrello) convincente in ogni minimo aspetto del personaggio: fascinoso ed intrigante, accende la curiosità del pubblico con bravate da viveur, camuffamenti bislacchi e apparizioni improvvise; il suo trascinante carisma stimola il lato ironico dei coprotagonisti e lo troviamo esilarante nelle scene di corteggiamento sfrontato alle spalle della moglie gelosa. Un’ottima prova che conferma l’interesse nei confronti del giovane solista pugliese. Brava anche Roberta Paparella nel ruolo della Moglie, perfetta nei tempi comici della sofisticata signora e nelle espressioni di stizza e contegno.

Rebecca Bianchi torna protagonista nel secondo brano della serata, Annonciation di Angelin Preljocaj, con partner d’eccezione la direttrice étoile Eleonora Abbagnato. Il palcoscenico interrotto dagli spigoli di una panca rigida incornicia il quadro sacro dell’Annunciazione. Maria, fanciulla e immacolata, siede inconsapevole e già inquieta, con l’abito corto che ne lascia scoperta la pelle bianca e i contorni di una femminilità innocente. Le voci bambine, rumore di sottofondo e preannuncio di nuove nascite, svaniscono nel silenzio possente di una presenza angelica, mentre la luce divina taglia e risveglia il mondo. Maria si arrende all’apparizione di Gabriele, Arcangelo messaggero, investito di potenza e bagliore. Abito celeste e capo dorato, Eleonora Abbagnato è angelo guerriero dal gesto poderoso, che fende l’aria con ali invisibili e benedice il corpo che darà vita al Figlio. Solida su gambe sinuose, Abbagnato contraddice i colori freddi della natura con uno spirito scenico avvolgente che potenzia, fino alla commozione, l’incontro ‘umano’ e poetico con la Madonna di Preljocaj.

Il tocco dell’angelo che spaventa Maria si trasforma lentamente nell’abbraccio protettivo e carnale di un corpo che annuncia nascita e trasformazione, salvezza e illuminazione. Nella bellezza del quadro di Preljocaj, costruito con sapienza cinematografica ed esaltato dalla gestione di luci (di Jacques Chatelet) e suoni (di Stéphane Roy sul Magnificat di Antonio Vivaldi) sospesi tra cielo e terra, troviamo ipnotico e coinvolgente l’incontro tra le due protagoniste. Abbagnato e Bianchi incrociano virtù sceniche e tensioni emotive, completandosi reciprocamente nelle rispettive pienezze: autorevole e fiera, Abbagnato conduce Maria/Rebecca Bianchi in un percorso di consapevolezza e accettazione, a cui la giovane accondiscende prima con titubanza e infine con certezza, ancella di un Dio invisibile e madre di un’anima redentrice. Un brano che rapisce ed emoziona, impreziosito dall’interpretazione di Eleonora Abbagnato, ma anche dal simbolico passaggio di testimone tra la direttrice e la prima ballerina Rebecca Bianchi, la cui evidente maturazione artistica conferma lo sguardo lungimirante e il trasporto formativo dell’étoile parigina.

In chiusura, l’atteso Cacti del prodigio svedese Alexander Ekman, pluripremiato ospite dei maggiori teatri del mondo. Giovane brillante, Ekman muove sedici danzatori su una scacchiera mobile di pedane bianche, insoliti recinti per azioni coreografiche reiterate. I ballerini si lanciano in un trionfo ritmico di gruppo, assecondando con il corpo e con la voce gli accenti di una corsa impellente, tallonati da un quartetto d’archi che incrocia i ballerini nell’azione coreografica (Houman Vaziri, Agnese Maria Balestracci, Arianna Bloise, Francesca Villiot). Travolti dalle sincronie, dai repentini cambi di direzione e dalle percussioni impreviste di corpi instancabili, ci scopriamo beffati dal malefico genio di Ekman, disegnatore divertito e disarmante di una contemporaneità autocompiaciuta e assuefatta all’intellettualismo. Senza scivolare nella parodia sfacciata, Ekman ruota sardonico lo specchio verso una realtà seriosa, che finisce per essere popolata dalla piante grasse e ornamentali del titolo.

Che si tratti di un riferimento alle cure ‘eccezionali’ dovute al ballerino come al cactus, o di una stoccata all’inclinazione onanistica della critica contemporanea, il lavoro di Ekman vince per freschezza e originalità espressiva, per completezza compositiva e chiara gestione coreografica del gruppo. Troviamo irresistibile il vortice ritmico iniziale in cui il corpo di ballo romano mostra estrema omogeneità stilistica, ancor più ammirevole considerando la novità dell’opera in repertorio. Bravo Claudio Cocino, neo primo ballerino, nel passo a due centrale con Annalisa Cianci: tra espressioni ispirate e movimenti spezzati, li scopriamo indaffarati in combinazioni coreografiche bizzarre guidate da voci fuori campo e interrotte dal miagolio fatale di un gatto caduto dal cielo (che a noi ricorda l’antica usanza teatrale in cui il ‘lancio del gatto’ esprimeva il disappunto dello spettatore). Segnaliamo tra gli interpreti del Corpo di ballo il giovane Giacomo Castellana, protagonista di un breve passaggio in solitudine in cui mostra fluidità di movimento e abilità dinamica non comuni, favorito da consapevolezza ritmica e linee plastiche. Ottima anche la prova degli altri interpreti: Nadia Khan, Eugenia Brezzi, Virginia Giovanetti, Sara Loro, Cristina Mirigliano, Beatrice Foddi, Stefania Fanfani, Giacomo Luci, Antonello Mastrangelo, Giovanni Castelli, Walter Maimone, Massimiliano Rizzo e Loick Pireaux.

Una serata intensa e ben realizzata, che ci auguriamo diventi la base di un’ ulteriore esplorazione contemporanea, a compimento del viaggio nella ‘danza del futuro’ auspicato dalla direttrice Eleonora Abbagnato. Senza dimenticare il repertorio classico, ovviamente.

Lula Abicca

06/04/2017

Foto: 1.-2. Rebecca Bianchi con Enrica Ruggiero al pianoforte in The Concert di Jerome Robbins, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 3.-8. The Concert di Jerome Robbins, ph.  Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 9.-10. Alessio Rezza, The Concert di Jerome Robbins, ph.  Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma;  11. The Concert di Jerome Robbins, ph.  Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 12.-17. Eleonora Abbagnato e Rebecca Bianchi in Annonciation di A. Preljocaj, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 18. Eleonora Abbagnato, Rebecca Bianchi e Angelin Preljocaj, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 19. – 25. Cacti di Alexander Ekman, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma.

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