La recensione

Lo Schiaccianoci di Giuliano Peparini, registra un nuovo record.

Numeri da record e grande affluenza di un pubblico giovane hanno segnato a dicembre la ripresa dello Schiaccianoci al Teatro dell’Opera di Roma, uno spettacolo che rivela l’indole eclettica e visionaria di Giuliano Peparini. Nella recita del 24 dicembre si evidenzia la giovane Sara Loro, dal movimento fluido e versatile nei vari registri del personaggio di Marie. Accanto a lei Giacomo Luci principe dalla nobile bellezza, partner sicuro e protettivo. Ottima la prova di Elena Bidini qui elegante Regina dei fiocchi di neve, di Claudio Cocino un aristocratico e fascinoso Zio Drosselmeyer, di Antonello Mastrangelo, Alessio Rezza e Marianna Suriano. In crescita il Corpo di ballo a cui ben si affiancano gli allievi della Scuola di Danza del Teatro.

Per il secondo anno consecutivo Lo Schiaccianoci, firmato dal coreografo Giuliano Peparini per il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, si conferma uno spettacolo da record, facendo registrare, ancora una volta, un sorprendente successo di pubblico con una platea variegata composta di spettatori giovani e meno giovani.

Il rinnovato esito positivo – circa i dati sull’affluenza giovanile durante la ripresa della programmazione – riprova la validità della felice intenzione nel voler allestire una rappresentazione «rivolta agli adolescenti» attraverso una versione – afferma Peparini – capace di incuriosire «molti ragazzi che abitualmente non frequentano il Teatro dell’Opera» permettendo loro «di scoprire e apprezzare l’arte della danza in generale».

Il balletto in due atti – andato in scena al Teatro Costanzi dal 18 al 24 dicembre scorso, dopo aver inaugurato, nel 2015, la direzione dell’étoile Eleonora Abbagnato – muove dal suggestivo racconto di E. T. A. Hoffman del 1816 (Lo Schiaccianoci e il re dei topi) e, dopo la rilettura della versione francese Storia di uno Schiaccianoci del 1844 realizzata da Alexandre Dumas padre, approda a un personale adattamento del coreografo romano.

Pur nel sostanziale rispetto della trama e della tradizione, lo spettacolo rivela l’indole eclettica e visionaria di Giuliano Peparini capace di armonizzare nella pièce una mescolanza vivace e colorata di realtà, sogno e immaginazione attraverso un allestimento scenico complesso, composto di strutture mobili, teli, elastici sospesi, pannelli intercambiabili e proiezioni luminose. Fin dall’inizio, lo spettatore è introdotto in una dimensione senza tempo ma che, tuttavia, ne racchiude idealmente molte all’interno di uno scenario palesemente alto borghese.

Scorgiamo da subito quell’attitudine e quell’amore viscerale verso gli aspetti registici della messa in scena a discapito, a volte, di una scrittura coreografica poco articolata e solo sufficientemente valorizzata nelle sue evoluzioni: una regia superba in cui la coreografia sembra progettata più per l’obiettivo di una telecamera e per uno schermo bidimensionale piuttosto che per il rapporto con un pubblico realmente presente al di là della quarta dimensione che, raramente, è infranta. In questo studio drammaturgico la danza è trattata come qualsiasi altro elemento costitutivo di un insieme grandioso e immaginifico.

«Amo la regia più di tutto» confessa lo stesso Peparini e «in realtà volevo fare teatro o cinema. Ovunque sono andato, ho cercato di stare vicino al teatro». Nondimeno la danza, come il teatro, sempre secondo Peparini, «devono raccontare qualcosa ed emozionare».

Vere eccezioni sono il poetico pas de deux che chiude il primo atto, concepito in stile contemporaneo, morbido e lineare, a tratti carnale e passionale ma, allo stesso tempo, elegante e avvolgente. A esso si affianca il Valzer dei fiori del secondo atto che parla, invece, la lingua della fluidità di gruppo, dell’energia e dell’ascolto attraverso un disegno ben strutturato, ordinato nella sua tecnica classica e altrettanto energico nella dinamica, capace di mettere in risalto un ensemble in crescita e di cui sono evidenti i progressi e i miglioramenti tecnici.

La coreografia è piuttosto dominata, nei suoi aspetti compositivi, dall’utilizzo di generi e stili diversi: tecnica classica, danza contemporanea, hip hop e breakdance, oltre ad evidenti richiami al musical. Tuttavia non bisogna erroneamente pensarli – all’interno dello spettacolo – contaminati tra loro; al contrario, sono valorizzati separatamente e utilizzati all’occorrenza per potenziare le caratteristiche di un determinato personaggio come, ad esempio, accade per il bad boy Antonello Mastrangelo, Re dei topi, sfrenato nelle acrobazie e nel vocabolario della sua street dance.

Insomma, una pluralità di linguaggi e una vasta gamma di forme espressive differenti messe al servizio di una spettacolarità visiva e di una leggerezza di comunicazione capace di attrarre non solo il pubblico di ogni età ma anche quanti non possono essere propriamente considerati degli esperti.

A tal proposito è lo stesso Peparini a dichiarare che la sua danza non parla ai conoscitori ma a «chi vuole conoscere». La parola d’ordine è “accessibilità”: questo Schiaccianoci ha tutta l’intenzione, non solo di far varcare le porte del Teatro dell’Opera a quanti non l’hanno mai fatto ma, anche a chi pensa di esserne semplicemente interessato e, magari, scoprendolo per la prima volta, desidera tornarci.

Da questa prospettiva l’invito della direttrice del Corpo di ballo romano Eleonora Abbagnato – accorta e previdente – nei  confronti dell’ex collega degli anni trascorsi oltralpe, è stato vincente: attraverso l’unione del repertorio classico e dell’utilizzo di nuovi linguaggi si è riuscito a sfruttare al meglio il potenziale, in termini di pubblico, della città di Roma e, sicuramente, ricondurre una platea di neofiti e non all’interno degli spazi, tradizionalmente e culturalmente abitati da Tersicore, come quelli del Teatro dell’Opera.

Durante la replica della vigilia di Natale (ultima di questo secondo anno) sulla scena de Lo Schiaccianoci di Giuliano Peparini – moderna versione di una grande opera di fantasia, vero gioiello musicale di Ciaikovskij (diretto da David Coleman ed eseguito dall’Orchestra del Teatro dell’Opera) e brillante favola che accompagna da tempo immemore le feste natalizie in ogni angolo del mondo – abbiamo visto alternarsi, ancora una volta, i danzatori del Teatro.

Particolare attenzione merita soprattutto la giovane solista Sara Loro con Giacomo Luci, rispettivamente nei panni dei due protagonisti del racconto, Marie e Nipote di Drosselmeyer: movimento fluido e contemporaneo, versatile nei passaggi ai diversi registri (soprattutto nell’interpretazione dei due pas de deux) la prima; il secondo, invece, principe dalla nobile bellezza, a tratti discreto negli atteggiamenti ma sempre “presente” con la sua tecnica precisa e pulita, incarna un partner sicuro e protettivo.

Da segnalare anche Claudio Cocino, nel ruolo dell’aristocratico e fascinoso Zio Drosselmeyer, Alessio Rezza, ottima preparazione tecnica ed espressività brillante, in quello di François (vivace fratello di Marie) e Marianna Suriano, sensuale e mai volgare solista della danza araba che incanta, sotto una velata trasparenza, con un corpo sinuoso e dalla muscolatura morbida e allungata.

Da segnalare anche Elena Bidini nel ruolo della Regina dei fiocchi di neve  (rapidità e precisione nei passaggi, notevole nell’utilizzo delle punte, épaulement e aplomb).

Degno di nota e a dimostrazione della crescita e del livello raggiunto – come tiene a rilevare il sovrintendente Carlo Fuortes – è la partecipazione, tra gli altri, non solo del Corpo di Ballo ma anche degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro: giovani promesse che da quest’occasione, con divertimento e spensieratezza, non solo hanno trovato un’opportunità concreta di esperienza di palcoscenico all’interno di una grande produzione ma – cosa più edificante – sono stati l’esempio per tanti coetanei presenti in Teatro i quali, come loro, giornalmente sono nelle sale di danza e, con sacrificio e dedizione, cercano di raggiungere i propri obiettivi con la speranza di vedere realizzati, in un futuro più o meno prossimo, i propri sogni.

Con la matinée del 24 dicembre scende, ancora una volta, il sipario su casa Stahlbaum e sul viaggio di Marie attraverso la parabola che dall’adolescenza la porta a una graduale consapevolezza di sé, del suo essere donna e del ruolo che ricopre idealmente nella società.

Con esso, però, non termina l’appuntamento festivo con la danza al Teatro Costanzi. Un nuovo spettacolo tiene occupati gli operatori del Teatro e una nuova sfida attende la direttrice Eleonora Abbagnato: tra qualche giorno, e fino dall’8 gennaio 2017, arriva per la prima volta nella capitale, nella ripresa del maestro Luigi Bonino, Il pipistrello di Roland Petit.

Il primo appuntamento con il balletto in due atti, proposto dall’allestimento del Teatro alla Scala di Milano, e che riprende la nota operetta di Johann Strauss, è fissato per sabato 31 dicembre 2016 alle ore 19.30. Impossibile non sottolineare questo debutto poiché evidenzia un’altra scelta coraggiosa, ovvero quella di voler introdurre una nuova consuetudine e, precisamente, l’idea di trascorrere il Capodanno a teatro.

In questa circostanza si desidera inaugurare quella che si spera diventare un appuntamento tradizionale con la proposta di uno spettacolo ad hoc per l’occasione, perfettamente in linea e coerente con le stesse scelte che hanno caratterizzato, fin dall’inizio – da parte della direzione (e non solo) – la volontà di potenziare il balletto del Teatro dell’Opera non esclusivamente a beneficio degli artisti ma anche del pubblico che, ci auguriamo, possa essere numeroso, entusiasta e partecipe come dimostrato per due anni consecutivi in occasione de Lo Schiaccianoci. Le premesse e le intenzioni ci sembrano più che favorevoli.

Tiziano Di Muzio 

31/12/2016

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