Protagonisti della danza

Hofesh Shechter racconta barbarians, spettacolo che apre #REf16 a Roma e la Stagione de I Teatri di Reggio Emilia

Hofesh Shechter, coreografo d’origine israeliana e adozione inglese, ha raccontato in conferenza stampa all’Opificio Romaeuropa il suo nuovo spettacolo, barbarians, un trittico di coreografie in scena al Teatro Argentina di Roma dal 21 al 24 settembre per REf16 e il 28 settembre 2016 al Teatro Ariosto di Reggio Emilia per la Stagione di Danza della Fondazione I Teatri. Nelle sue parole anche riflessioni sul ruolo dell’arte anche nei confronti della politica.

È lo stesso Hofesh Shechter ad approfondire il tema centrale di barbarians durante la conferenza stampa del 19 settembre 2016 per l’apertura ufficiale della trentunesima edizione del Romaeuropa Festival: “ La prima cosa a cui ho pensato quando ho iniziato questa nuova creazione è stato il desiderio di rompere i miei stessi schemi. Volevo sperimentare ed espandere i miei orizzonti mettendomi in una posizione di ‘scomodità’, di ‘disagio’. Ho così pensato subito a qualcosa di pratico, come a dei costumi non confortevoli per i danzatori. E poi, dal punto di vista della costruzione coreografica, ho scelto di concepirla in tre parti per sperimentare tre differenti qualità di energia in scena”.

“Per quanto riguarda l’aspetto più importante, ovvero il soggetto della creazione, devo fare una premessa: le mie produzioni precedenti a barbarians sono nate, nella maggior parte dei casi, in un contesto politico, all’ombra di accadimenti contemporanei nel mondo. C’era pertanto qualcosa di ancora inesplorato nella mia produzione che potrei definire ‘passione’; ho dunque deciso di indagarlo in barbarians chiedendomi cosa accade tra due persone quando si accende e si mette in moto la passione, un sentimento che da una parte viene molto incoraggiato e dall’altra contiene elementi del ‘proibito’. Immagino che qui in Italia la passione sia accettata e favorita, ma nel luogo da cui io provengo, Israele, esiste con essa un rapporto conflittuale che desideravo per l’appunto esplorare”.

“Immagino che barbarians si possa definire un lavoro autobiografico (così come tutti i miei lavori precedenti) – confessa Shechter – anche se non in modo diretto, ma piuttosto contorto. Del resto, credo che tutte le creazioni (almeno le mie) debbano avere una connessione con la vita e con ciò che mi accade altrimenti sarebbe tutto troppo noioso. Noi artisti siamo in un certo senso ossessionati da noi stessi ed è inevitabile nel nostro lavoro la componente autobiografica. Per quanto mi riguarda barbarians è stata l’occasione per esplorare qualcosa che mi creava disagio, ho cercato dei modi, attraverso la creazione artistica, per rispondere a questo disagio portandolo in scena. Sottolineo che per me l’arte non è una forma di terapia ed esploro le istanze autobiografiche con una rilevanza più ampia che coinvolga anche il pubblico. In questo caso, i temi esplorati e portati in scena sono quelli dell’amore, della passione e della libertà, ovvero: cosa accade quando ci concediamo troppa libertà o quando ci innamoriamo e siamo preda della passione? Si tratta di temi che riguardano tutti”.

Dietro al titolo – barbarians – l’invito ad una riflessione sul rapporto con l’altro: “Il titolo è nato come una suggestione per lo spettatore che viene a vedere lo spettacolo, in modo che ancora prima di entrare abbia a disposizione qualcosa su cui riflettere. Personalmente, mi interessava indagare un termine che, com’è noto, è stato introdotto dalla civiltà occidentale ed è stato utilizzato sin dall’inizio per definire l’alterità, il diverso da noi, ciò che riteniamo incivile, selvaggio. Mi interessava insomma esplorare questa idea utilizzata per definire l’altro”.

Tra le chiavi di lettura del lavoro di Hofesh Shechter, la sua personale esperienza di vita che lo ha portato a confrontarsi con le complessità della società contemporanea: “Israele, dove sono nato, è un luogo molto complesso e la sua società è estremamente frammentata. Sono cresciuto in un contesto generato non solo dal conflitto tra israeliani e palestinesi (questo si potrebbe definire l’aspetto più esteriore della situazione) ma da una frammentazione su più livelli: i conflitti tra Israele e i paesi confinanti, le divisioni interne tra ortodossi e non ortodossi, quelle tra gli stessi palestinesi. Tutto questo rende Israele un luogo in cui è difficile trovare armonia. Sono nato e cresciuto in un posto in cui le domande che quotidianamente ci poniamo riguardano l’ordine sociale e il funzionamento di una comunità al di là delle divisioni, che a loro volta hanno inevitabili ripercussioni sulle vite e sulle scelte delle singole persone. Tuttavia, sono cresciuto anche in un contesto estremamente eclettico. Questo si riflette, per quanto mi riguarda, nell’uso che faccio della musica nei miei lavori: si tratta di materiale che deriva da differenti contesti storici e artistici che cerco di fondere e far coesistere. Nei miei ricordi c’è del resto la collezione dei dischi di mio padre che accostava alla musica classica i brani dei Pink Floyd, dei Queen, così come la musica elettronica o rock”.

E sul possibile ruolo dell’arte, il coreografo si espone con lucidità e chiarezza: “Non so se l’arte debba avere un ruolo se non quello di far stare insieme le persone fondendo tra loro influenze diverse, esattamente come cerco di fare io stesso nelle mie creazioni. Credo che l’arte sia il luogo in cui condividere emozioni e abbattere le barriere. Non credo che il suo compito sia quello di fornire uno sguardo critico sulla società o sulla politica, ma per l’appunto quello di portare le persone a stare insieme, cosa che oggi è sempre più possibile in un mondo in cui si viaggia con facilità e in cui si può portare l’arte ovunque. Nello stesso tempo, non credo che gli artisti debbano necessariamente schierarsi politicamente; quando ciò accade, lo trovo personalmente ‘strano’ perché si tratta, a mio parere, di affermazioni private, individuali e personali”.

Lula Abicca

21/09/2016

Foto: 1 Hofesh Shechter ; 2. Hofesh Shechter alla conferenza stampa di presentazione del Romaeuropa Festival con Monique Vaute.

Scrivi il tuo commento

design THE CLOCKSMITHS . development DEHLIC . cookie policy