La recensione

Le stagioni del tempo e dell’uomo. Il Balletto del Sud, con Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, chiude il Festival Internazionale della Danza.

“Le quattro stagioni”, coreografia di Fredy Franzutti per la compagnia Balletto del Sud ha concluso la sesta edizione del Festival internazionale della Danza a cura dell’Accademia Filarmonica Romana. Nelle repliche del 27 e 28 maggio 2016, l’ensemble pugliese ha raccolto il consenso della platea del Teatro Olimpico confermandosi tra le realtà nazionali più dinamiche, produttive e stabili. I numerosi applausi per i sedici interpreti dalla preparazione classica ineccepibile confermano ancora una volta l’apprezzamento del pubblico della capitale per l’ensemble salentino.

Tra gli applausi del Teatro Olimpico riaperto, si chiude una sesta edizione di successo per il Festival Internazionale della Danza a cura dell’Accademia Filarmonica Romana. Troviamo non potesse esserci cartolina di saluto più sorridente di quella che ha commosso l’ampia platea romana lo scorso 27 maggio: sedici danzatori schierati lungo il proscenio, occhi giovani e grati, volti onesti di un futuro da riscrivere, comunità di nuovi eroi da un Sud che esplode di creatività e talento.

È un’immagine di giovinezza e virtù quella che più spontaneamente sentiamo di associare al Balletto del Sud, compagnia poco più che ventenne, fondata a Lecce da Fredy Franzutti che ne è anche la principale anima creativa e organizzativa. Un repertorio di oltre trenta produzioni, tra titoli della tradizione classica e opere originali, un corpo di ballo internazionale, ottanta spettacoli in un anno e tournée intensissime in Italia e all’estero. Sono i numeri da capogiro di una compagnia in pieno vigore, profondamente legata alle proprie radici, ma anche in costante crescita, con rami che fioriscono tra i cieli d’Europa e del mondo (basti qui ricordare le tournée in Albania, Algeria, Vietnam e il progetto Athene del 2014 che ha coinvolto Italia, Spagna e Croazia).

Il legame d’amore, sangue e passione con il Sud certamente identifica le intenzioni del Balletto, ma non al punto da esasperarne i contenuti, che al contrario si rivelano di ampio respiro multidisciplinare e animati da densa e varia attività di ricerca drammaturgica ed estetica. Più di un aspetto ci porta oggi a confermare, per il Balletto del Sud, l’elevato grado di interesse acquisito negli anni: innanzitutto un ensemble di interpreti dalla preparazione classica ineccepibile, giovani di diverse nazionalità che hanno trovato a Lecce il luogo in cui crescere professionalmente grazie alle molteplici esibizioni in teatro e all’incontro con personalità storiche del mondo della danza come Carla Fracci e Luciana Savignano, regolarmente ospiti del Balletto; un caratteristico stile che, pur tra le citazioni di un neoclassico oggi non più così diffuso, rimarca un ‘segno Franzutti’, messaggio in sillabe ripetute e differentemente alternate; un’operazione di divulgazione culturale invidiabile, che associa al coinvolgimento dei grandi protagonisti del balletto la rievocazione di un tempo dimenticato e che si arricchisce della personale predilezione del coreografo per la storia della danza, la letteratura, la poesia, l’arte; un buon dispiegamento di forze, tra scenografi, costumisti ed esperti musicali, per garantire l’accurata realizzazione degli spettacoli.

Ma se non bastassero numeri e considerazioni, resterebbe il calore del Teatro Olimpico al termine delle due repliche de Le quattro stagioni a dar testimonianza dell’affetto del pubblico nei confronti del Balletto del Sud. La coreografia, trentesima creazione di Franzutti realizzata per la compagnia nel 2012, declina in un atto e quattro scene gli stati d’animo più intimi, eppure condivisi, di ogni uomo, scandendone l’alternanza secondo il ciclo delle stagioni e della natura. L’idea di riformulare le suggestioni musicali delle stagioni, legate nella memoria di tutti alle note di Antonio Vivaldi (qui in verità interrotte con misura e originalità da frammenti di The Seasons, Suite for Toy Piano e Fontana Mix di John Cage), nasce in Franzutti dalla lettura appassionata delle poesie di Wystan Hugh Auden, autore inglese, cittadino americano nel 1946 e premio Pulitzer nel 1948. Con spirito acuto, Auden descrisse gli aspetti di una società americana già modello di un mondo intero, l’America del ‘cittadino ignoto’ (The Unknown Citizen, poesia del 1940), l’America della libertà a portata di mano eppure silenziosamente massificante, l’America nascosta sotto la propria bandiera, terra di tutti e di nessuno.

La coreografia rispetta un andamento estremamente regolare: un quadro per ogni stagione, introdotto dalle scene dipinte da Isabella Ducrot, abile nel colorare la scena con tracce di quotidianità comuni e simboli di una natura eternamente in rinascita.  Protagonista sempre in scena, l’attore Andrea Sirianni, che nei panni del giovane Auden ne declama i versi più noti conservandone l’ironia pungente e i risvolti distopici (poesie tratte principalmente dalla raccolta Another Time del 1940). Sono poi i ballerini ad animare ogni quadro, dalla gioiosa primavera d’apertura tra svolazzanti costumi lilla (ricostruiti da immagini dell’epoca e curati dagli stessi Franzutti e Ducrot), ai passi a due in tenuta olimpionica, simbolo della supremazia sportiva americana qui impersonata da ballerine leggiadre e danzatori aitanti, all’inattesa incursione di due personaggi disneyani, immagine colpevole di un consumismo fuori controllo (bravi Alice Leoncini e Ciro Iorio, flessuosa lei, sicuro lui). Poi il finale, sulle struggenti righe di Funeral Blues, in cui il gruppo vestito di bianco dolcemente accompagna lo spegnimento di un cielo privato dell’amore. Eppure ci sembrerà di vederla, in quel bianco dal volto giovane, l’alba di una primavera che già torna e vuole fiorire. E comprenderemo, infine, l’immaginaria linea del tempo di un uomo, le cui personali stagioni d’Amore, Apatia, Ansia e Morte finiscono esattamente nel punto in cui erano iniziate: quello della nascita, dell’individualità irripetibile, della libertà.

Molto buono l’affiatamento del gruppo, rilevabile (al di là di qualche sincronia imperfetta) nello stile e nell’intenzione interpretativa comune, in cui ci pare di vedere il riflesso di un accurato lavoro di squadra dietro le quinte. Segnaliamo tra i ballerini Ciro Iorio, carismatico e dotato di una fluidità dinamica notevole, protagonista di un (innocentemente) irriverente assolo in slip a stelle e strisce, la spagnola Nuria Salado Fustè, danzatrice dalle linee sinuose e interprete intensa, Alessandro De Ceglia, brindisino dal fisico atletico e dall’energico temperamento scenico e Alexander Yakovlev, ballerino russo dalla tecnica raffinata, presenza sicura e volto cinematografico.

Applausi crescenti nelle due serate al Teatro Olimpico registrano per il Balletto del Sud un chiaro successo che conferma il sincero apprezzamento del pubblico della capitale.

Lula Abicca

3/06/2016

La recensione si riferisce alla serata del 27 maggio 2016.

Foto: 1., Nuria Salado Fusté ne Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, Balletto del Sud, ph. Francesco Sciolti; 2. – 3. Balletto del Sud, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, ph. Carla Falconetti; 4. Balletto del Sud, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, ph. Fabio Serino;  5. Balletto del Sud, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, ph. Carla Falconetti; 6. Alessandro De Ceglia, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, Balletto del Sud, ph. Domenico Semeraro;  7. Andrea Sirianni, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, Balletto del Sud;  8.-9. Balletto del Sud, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti; 10. Balletto del Sud, Le quattro stagioni di Fredy Franzutti, ph. Carla Falconetti.

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