Ritmica rock, sound barocco, vortice ritmico nella direzione di Diego Fasolis de Il trionfo del Tempo e del Disinganno di Händel alla Scala
Al Teatro alla Scala la raffinata direzione di Diego Fasolis ci regala un’interpretazione de Il trionfo del Tempo e del Disinganno di Georg Friedrich Händel storicamente informata, pervasa da una ritmica rockeggiante e da una notevole espressività. Con la regia di Jürgen Flimm, l’effimero si scontra con il rigore penitenziale in un ristorante parigino su cui aleggia lo spirito controriformistico: Bellezza (Martina Janková), rinuncia alle lusinghe di Piacere (Lucia Cirillo), facendo cantar vittoria a Tempo (Leonardo Cortellazzi) e Disinganno (Sara Mingardo). L’Aria col da capo forma musicale barocca superstar.
La cosa che più mi ha colpito venerdì 12 febbraio 2016 al Teatro alla Scala di Milano, è stato il vortice ritmico impresso dal direttore Diego Fasolis all’oratorio Il trionfo del Tempo e del Disinganno scritto da Georg Friedrich Händel nel 1707. In questa versione storicamente informata – l’ho già scritto: termine politically correct! – prevale il senso del tempo che scorre inesorabilmente, anche durante i momenti lirici di cui l’opera è densa. Tutto è realizzato con una ritmica rock nelle agogiche più movimentate e con l’esasperazione di accenti ritmici dolorosi delle arcate nei tempi più lenti.
Ho già presentato l’oratorio (potete leggere QUI). I quattro personaggi che interagiscono e si contrappongono sono le coppie Bellezza/Piacere e Tempo/Disinganno, in pratica l’effimero vs il rigore penitenziale. Indovinate: chi vincerà le sfida dialettica ne Il trionfo del Tempo e del Disinganno, oratorio scritto nel 1707 in pieno spirito controriformistico? Bellezza si convertirà, rinunciando alle lusinghe di Piacere, facendo cantare vittoria a Tempo e Disinganno. Alla fine del Seicento, Controriforma ed edonismo sfrenato convivevano in una perenne ambiguità. Si volevano limitare gli eccessi dei comportamenti con un effetto “antiproibizionismo” che provoca reazioni smisurate e opposte al divieto. Il cardinal Pamphilj grande mecenate e pastore arcade (tra gli altri lavorò con Corelli e Alessandro Scarlatti) scrisse il libretto moraleggiante anche a testimonianza della sua propensione al mecenatismo. A proposito di ciò, molto curato il saggio di Lorenzo Mattei sul programma di sala del Teatro alla Scala che mette in relazione la committenza aristocratica e le tendenze omosessuali per spiegare i meccanismi del mecenatismo di allora, quando alcuni artisti si “immolavano” per la causa. Bello ed erudito il programma di sala, con un eccesso di zelo nella ripetizione di alcune informazioni, come avviene in quasi tutti i contribuiti a proposito della melodia di Lascia la spina presente in Almira e in Rinaldo di Händel (Ok. Ho ca-pi-to!).
L’oratorio è suddiviso in due parti ed è composto di 28 brani, di cui 24 Arie col da capo. Quindi pochissimi assiemi (duetti/quartetti) e pochissimi recitativi in un crescendo emotivo continuo. La sequenza di queste arie somiglia a una degustazione che dai sapori più semplici cresce di intensità verso gradazioni più strutturate. L’Aria col da capo è la forma musicale barocca superstar. È l’espressione più evidente degli “Affetti”, con caratteristiche musicali che definiscono un sentimento o una atmosfera. È artefice delle colorature e costruita con due melodie distinte, la A e la B, con A che si ripete variata come succede all’improvvisazione nel jazz. È un artificio che include la memorizzazione, sia per la ripetizione che dicevo sia perché spesso le arie passano da un’opera all’altra, si autocitano (e qui l’esempio di Lascia la spina che dicevo prima).
Nell’esecuzione di queste arie Fasolis crea un rapporto strettissimo con i cantanti grazie anche alla professionalità dell’Orchestra del Teatro alla Scala, in collaborazione con I Barocchisti della Radiotelevisione Svizzera. Bella direzione. Le linee melodiche affidate agli strumenti storici si incastrano con le voci in un rapporto fisico accentuato dal sound barocco, con una intonazione a tratti lievemente imprecisa che per me è ancora più sensuale. Molto curata anche la dinamica. Mi piace ricordare il pianissimo finale in Tu, del ciel ministro eletto di Martina Janková (Bellezza), che contiene tutta la mestizia immaginabile. Nel duetto tra Lucia Cirillo (Piacere) e la Janková Il voler nel fior degli anni è evidente una intesa tra i due soprani che si destreggiano tra colorature e incastri con l’orchestra. Leonardo Cortellazzi (Tempo) esegue le progressioni di Folle, dunque tu sola presumi senza forzare sulle sonorità, rimanendo cautamente stabile. Tra tutti spicca il timbro di Sara Mingardo (Disinganno). Forzando con sinestesie, lo descriverei morbido, luminoso, penetrante, fragrante, armonioso. La Mingardo è un monumento con la sua voce contraltile: che controllo sul fiato, che virtuosismi (L’uomo sempre se stesso distrugge, Chi già fu del biondo crine)!
Ho vista solo metà inquadratura della regia di Jürgen Flimm ripresa a Teatro alla Scala da Gudrun Hartmann con le scene di Erich Wonder e i costumi di Florence von Gerkan. La scena è ambientata presso il ristorante parigino La coupole, luogo spazioso per contenere varie umanità e cornice ideale per sottolineare il significato del testo del libretto con i movimenti di scena. Le eleganti incursioni dei figuranti completano il testo tra mestizia e sensualità, grazie anche al delicato intervento delle luci di Gebhardt e Kunz. Ne ho goduto la metà a sinistra. Mi è capitato di sedere in un palco laterale e avere una prospettiva limitata. In questi casi, sporgersi è pericoloso e non rispetta il bon ton: se mi affaccio assai, chi sta dietro vedrà solo il mio capoccione. Mi è piaciuto lo stesso. Però, il bon ton! Persino nell’austero Teatro alla Scala alla fine della rappresentazione, quando gli artisti si misurano con il liberatorio applausometro, qualcuno del pubblico fugge tipo “sta scoppiando un incendio”. Le luci sono ancora spente, il direttore deve apparire sul palco per la prima volta e la gente ha una fretta inspiegabile per qualcosa che di sicuro sarà fondamentale.
Cittadini europei quali siamo, anche in un momento che mette in discussione Schengen per i flussi migratori, allarghiamo le nostre vedute. Non solo opera italiana composta da italiani, ma anche produzioni di compositori europei con la moda del Made in Italy musicale, in questo caso rappresentata dall’uso di elementi estrapolati dall’opera seria e dal concerto grosso. Seguiamo Händel e gli altri “stranieri”. Potrebbe anche essere cool, visto che in Gran Bretagna hanno creato il format Händel & Hendrix in London, connessione tra le dimore di Georg e di Jimi vicini di casa a distanza di 240 anni. Pare che Hendrix acquistò i vinili di opera händeliane e c’è chi individua frammenti di Fuochi d’Artificio e Musica sull’Acqua in alcuni riff dell’icona rock. Marketing? Forse. Ma se fa bene alla musica classica per me va benissimo.
Ippolita Papale
@salottopapale
16/02/2016
Se vuoi vedere alcuni video dell’oratorio, scopri la playlist creata da Ippolita Papale cliccando QUI o cliccando sul video sottostante.